Il problema del nostro tutto sommato mansueto T. Rex è che la stampante non va. Lui, naturalmente, «Non ha fatto niente» ma di punto in bianco la sua peraltro graziosa HP a getto d'inchiostro sembra aver deciso di scioperare.
Dato che l'età del mio interlocutore non semplifica affatto la formulazione di una diagnosi per telefono (dopotutto, 65 milioni di anni fa mica c'era tutta questa tecnologia), decido di recarmi sul posto.
Dopo i convenevoli di rito vengo condotto davanti alla ribelle. Il dinosauro in forma umana insiste a volermi mostrare che la stampante non funziona, per cui lo lascio fare: accende PC e stampante, apre un documento di Word, lo invia per la stampa ma nulla accade.
Fortunatamente, nella frazione di secondo in cui la finestra di stampa resta aperta faccio in tempo a vedere che la stampante selezionata non è la HP che fa bella mostra di sé sulla scrivania, ma la stampante virtuale messa a disposizione da Windows.
Preso possesso della cabina di pilotaggio - ossia dopo essermi seduto sulla poltrona - apro l'elenco delle stampanti e noto che la HP è presente, ma l'icona ha il tipico colore grigino semitrasparente delle periferiche non rilevate.
A quel punto mi ricordo di una massima fondamentale: la soluzione più ovvia è spesso anche quella giusta. Guardo dietro al PC, e vedo il cavo USB che parte della stampante fermarsi a pochi centimetri dalla porta in cui dovrebbe essere inserito, apparentemente stremato dal lungo viaggio e collassato prima di riuscire a entrare.
Lo aiuto a compiere l'ultimo tratto di strada e la stampante come per magia mi prende vita. Il T. Rex, invece, è sconvolto.
«Ma... io non ho fatto niente! E qui non entra nessuno». Esordisce. Poi fa la domanda: «Ma quanto le devo?».
«Per mettere dentro un cavo?» gli rispondo. «Niente. In fondo non ho fatto quasi nulla».
E con la visione del tirannosauro a fauci spalancate - non per mangiarmi, ma sorridendo come se avesse vinto la lotteria - mi avvio verso casa.