Trasferimento

Dopo mesi di casini vari e qualche indecisione, il blog si trasferisce qui:


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La casa nuova è ancora da sistemare, ma per lo meno l'indecisione dovrebbe essere finita.

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Mi telefona un anziano cliente con il quale ho già avuto a che fare in passato.

A quel tempo aveva ricevuto una e-mail di scam, la quale l'aveva convinto che il suo computer fosse stato infettato da uno zoo di virus assortiti e che il mondo sarebbe finito se non avesse pagato una certa cifra in Bitcoin. Non avendo idea di che cosa fosse un Bitcoin, aveva chiamato noi, e la truffa era stata sventata.

Ora, a quanto pare, è vicino a ricascarci. Memore però della volta precedente, prima di farsi prendere dal panico ci telefona e ci spiega sommariamente la situazione, atto in seguito al quale decidiamo di inviare qualcuno (ossia il sottoscritto) a fare un sopralluogo per sincerarsi della situazione.

La telefonata si avvia quindi alla conclusione.

Cliente: Perché mi ricordo che l'altra volta avete risolto presto, ma stavolta mi dice che devo cambiare l'indirizzo telegrafico... E ho pensato di chiamare, prima.

Io (cercando di non ridacchiare): Ha fatto benissimo. Allora ci vediamo domani mattina.

Looper

Dopo tanti casini portatici in negozio, il Casinaro ha fatto il salto di qualità: ha fatto un casino che richiede un intervento sul campo.

Il preoccupante vecchietto è reduce dal Grande Salto. No, non si è lanciato dal balcone, ma è passato dall'ADSL alla fibra (beh, FTTC, ma comunque meglio di prima, almeno sulla carta) e ha bisogno di installare e configurare il router che Telecom gli ha recapitato.

O, per meglio dire: lui ha già installato e configurato il tutto - dice - ma per qualche misterioso motivo non funziona niente. Nemmeno la stampante - una graziosa HP a getto d'inchiostro dotata di connessione Ethernet, e che prima del passaggio era collegata al router ADSL - risponde più ai comandi inviatile dal computer.

Così mi reco sul posto per cercare di capire dove il Casinaro abbia sbagliato. Perché sì, può capitare che il nuovo router non funzioni, che ci sia qualche configurazione strana da applicare, che sia necessario inondare il tutto con l'acqua benedetta, ma più probabilmente la sua manina santa ne ha combinata un'altra.

Giungo quindi al capezzale dell'intricato groviglio di cavi, cavetti, fili e ammennicoli vari che dovrebbe passare per una combinazione PC+stampante+router+telefono e cerco di venire a capo della questione, il tutto ovviamente mentre il Casinaro mi tallona da vicino esponendomi senza soluzione di continuità una teoria via l'altra sul perché le cose non funzionino.

Conoscendo il mio pollo, faccio finta di ascoltarlo emettendo di tanto in tanto qualche grugnito di vago assenso e bofonchiando un «Sì, magari controlliamo anche quello tra un attimo» per buona misura, e parto dall'ABC: i cavi - mi chiedo - sono collegati in modo corretto?

Beh, diciamo che i cavi sono collegati. Ma non mi azzarderei a dire che sono collegati in modo né corretto né scorretto: il termine giusto è fantasioso.

Il cavo del telefono finisce giustamente nel router, e fin qui tutto bene. Poi inizia il delirio. C'è per esempio un cavo Ethernet giallo - che nella massa di grigi, neri e un pochino di blu risalta che è una bellezza - che parte da una delle porte Ethernet del router, gira dietro al monitor, attraversa tramite un apposito buco - aperto dal Casinaro - la parete di un armadio, arriva alla stampante, la ignora, ci gira intorno, si riinfila nel buco e torna al router, concludendo la corsa in un'altra porta Ethernet!

E il cavo Ethernet della stampante? Parte fiducioso dalla stampante, vede che la strada si fa trafficata, con determinazione e sprezzo nel pericolo si getta in un mucchio di cavi... e lì resta, triste e desolato.

Il PC non ha di questi problemi: il cavo Ethernet nemmeno c'è. O magari c'era una volta ma è stato mangiato dal mostro di polvere che vedo sollevarsi minaccioso dopo tutto il mio tirare, spingere, spostare e cercare.

Illustro la situazione al Casinaro, cercando di fargli entrare in testa il concetto di «infilare il capo A nella porta A e il capo B nella porta B», ma non ottengo un grande successo. «Io ho montato tutto come c'è scritto sulle istruzioni» mi ripete, stolidamente convinto, e rapidamente mi demoralizzo.

Prendo a ignorarlo, collego tutto come Dio comanda, e come per magia non solo la connessione a Internet riprende vita ma anche la stampante torna nel mondo dei vivi. Alla fine il tempo d'intervento totale è di circa una decina di minuti.

«Già funziona tutto?» mi chiede, con un sorrisino che a me sembra proprio irridente, ma forse sono io che sono prevenuto.

Sospiro. «Sì, vede?». Gli mostro che si può anche stampare. «C'erano proprio solo da sistemare i cavi» concludo, sperando che magari stavolta sia d'accordo. O quantomeno che lasci correre.

In effetti non si lamenta affatto della diagnosi. Invece mi dice: «Be', quanto le devo?».

È bene a questo punto spiegare che noi abbiamo un tariffario abbastanza fisso per le uscite, e che lui lo conosce a menadito. Il tariffario è abbastanza fisso nel senso che nominalmente non sono previssti sconti: quello che c'è scritto sul cartello appeso in negozio è esattamente quanto chiediamo per gli interventi a domicilio, e calcoliamo gli interventi "per ogni ora o frazione", come dicevano i vecchi cartelli dei parcheggi. E, in fondo, si tratta di cifre molto ragionevoli, tanto che di solito i clienti si meravigliano di quanto poco chiediamo.
In realtà applichiamo il tariffario con una certa flessibilità: nel caso di clienti gentili e disponibili (o magari molto anziani) che non pretendono di chiamarci e poi dirci come fare il nostro lavoro, siamo disposti a chiudere uno o due occhi, specialmente se il compito da svolgere è particolarmente telegrafico. Il Casinaro, tuttavia, anche con tutta la buona volontà non rientra in questo genere di clienti.

Gli dico la cifra. «Ma per un lavoro così breve...» obietta, sempre con in faccia il sorrisetto.
Mi limito a guardarlo, combattendo la tentazione di mandarlo al diavolo e quella di dirgli «Se preferisce rimetto tutto com'era prima», sentendomi anche un po' un Acchiappafantasmi.

Per fortuna non devo decidere, perché l'intera scena dura pochi secondi. Mi paga, con aria poco convinta, e mi accompagna alla porta.

Il tirannosauro


Mi chiama un anziano signore che è sempre gentile e simpatico ma è anche la prova che non tutti gli esseri umani discendono da mammiferi preistorici. Questo tizio, infatti, con tutta evidenza discende direttamente da un T. Rex dato che, quando si tratta di pagare, le braccine gli diventano così piccole e corte da parere stuzzicadenti.

Il problema del nostro tutto sommato mansueto T. Rex è che la stampante non va. Lui, naturalmente, «Non ha fatto niente» ma di punto in bianco la sua peraltro graziosa HP a getto d'inchiostro sembra aver deciso di scioperare.

Dato che l'età del mio interlocutore non semplifica affatto la formulazione di una diagnosi per telefono (dopotutto, 65 milioni di anni fa mica c'era tutta questa tecnologia), decido di recarmi sul posto.

Dopo i convenevoli di rito vengo condotto davanti alla ribelle. Il dinosauro in forma umana insiste a volermi mostrare che la stampante non funziona, per cui lo lascio fare: accende PC e stampante, apre un documento di Word, lo invia per la stampa ma nulla accade.

Fortunatamente, nella frazione di secondo in cui la finestra di stampa resta aperta faccio in tempo a vedere che la stampante selezionata non è la HP che fa bella mostra di sé sulla scrivania, ma la stampante virtuale messa a disposizione da Windows.

Preso possesso della cabina di pilotaggio - ossia dopo essermi seduto sulla poltrona - apro l'elenco delle stampanti e noto che la HP è presente, ma l'icona ha il tipico colore grigino semitrasparente delle periferiche non rilevate.

A quel punto mi ricordo di una massima fondamentale: la soluzione più ovvia è spesso anche quella giusta. Guardo dietro al PC, e vedo il cavo USB che parte della stampante fermarsi a pochi centimetri dalla porta in cui dovrebbe essere inserito, apparentemente stremato dal lungo viaggio e collassato prima di riuscire a entrare.

Lo aiuto a compiere l'ultimo tratto di strada e la stampante come per magia mi prende vita. Il T. Rex, invece, è sconvolto.

«Ma... io non ho fatto niente! E qui non entra nessuno». Esordisce. Poi fa la domanda: «Ma quanto le devo?».

«Per mettere dentro un cavo?»  gli rispondo. «Niente. In fondo non ho fatto quasi nulla».

E con la visione del tirannosauro a fauci spalancate - non per mangiarmi, ma sorridendo come se avesse vinto la lotteria - mi avvio verso casa.

La stampante mi ha mangiato i compiti!

Beh, non di compiti si tratta, ma sempre di una stampante accusata di mangiarsi i fogli stiamo parlando.

L'uomo che mi chiama al telefono sostenendo che la stampante «Mi mangia i fogli» è lo stesso di Tra moglie e marito non mettere il fax,e la stampante in questione è sempre quella acquistata come fax ma che poi, causa la mancanza di una linea telefonica, non è mai stata usata per quella funzione. Ora, a quanto pare, le è anche venuta fame.

Raggiungo l'abitazione e mi faccio spiegare per bene che cosa intenda il Cliente quando dice che la stampante «mangia i fogli». Mi spiega che intende proprio che se li mangia: ossia stampa una pagina, poi la tira nuovamente al proprio interno e non la sputa mai più. Se il proprietario vuole ottenere il foglio, deve afferrarlo e strapparlo con violenza dalle fauci della bestia, prima che questa lo ingerisca.

Ohibò. Se fosse vero, al di là dello strano comportamento, a questo punto le viscere della stampante dovrebbero essere piene di fogli mangiucchiati, anche perché il Cliente mi assicura che ha provato a fare un sacco di stampe e tutte sono state barbaramente divorate. Ma forse ha già digerito tutto (e in questo caso non voglio sapere dove sia finito il prodotto conclusivo), perché l'interno della macchina è assolutamente pulito.

«Proviamo!» dico. Così almeno vedo da me che cosa succeda quando si stampa.
«Proviamo» fa lui, sconsolato. «Ho giusto da stampare le medicine di mia moglie, che continuo a stampare e lei mi continua a mangiare». «Lei», naturalmente, è la stampante, non la moglie.

Lancio la stampa e la stampante, un multifunzione Epson a getto d'inchiostro, prende vita. Stampa la prima pagina, poi fa per recuperare il foglio per stampare il retro (è una lunga lista che contiene anche i dosaggi e altre istruzioni).
«Ecco!» mi grida il cliente. «È adesso che devo prenderlo!».
Mentre la situazioni mi si illumina, lo fermo. «Lasciamola fare» dico. «Ma così se lo mangia!» mi risponde.
Non dico niente, ma in capo a poco la stampante sputa fuori definitivamente il foglio, correttamente coperto di scritte su entrambe le facciate.

Io e Cliente ci guardiamo, ma vedo solo lo smarrimento nei suoi occhi. Prendo così a spiegargli le meraviglie della stampa fronte/retro, e scopro che lui fino a pochi giorni prima non aveva stampato altro che fogli singoli: solo di recente ha dovuto stampare un file di ben due pagine, trovandosi così ad affrontare una funzione sconosciuta ma che è attiva di default.

«La stampante funziona correttamente, quindi» gli dico. «Bisogna solo aspettare che abbia finito di stampare anche il retro, dopo aver ripreso il foglio al proprio interno. In un certo senso è giusto che "se lo mangi", salvo il fatto che deve risputarlo alla fine».

Cliente però ancora non è convinto, e così facciamo un altro paio di stampe di file da almeno due pagine. Ogni volta la stampa viene eseguita correttamente, nonostante il mio agitatissimo ospite sia sempre tentato di strappare con sacro furore il foglio stampato soltanto sul fronte al primo accenno di recupero per la stampa del retro.

Alla fine sembra che l'abbia convinto. Resta solo una domanda. «Ma allora... Tutti i fogli che ha stampato e s'è tenuta dentro dove sono?».
Soppeso un po' la situazione. Non posso certo rispondergli che secondo me se li è sognati quando ha iniziato a vedere la sua carissima (nel senso del prezzo) Epson nella veste di Mangiacarta Nero. Gli suggerisco che è una cosa che forse non sapremo mai, ma dobbiamo essere contenti che, se la si lascia fare e le si dimostra un po' di fiducia, la famelica creatura si comporta ancora in maniera giudiziosa.

Vedendo infine chiusa la vicenda, mi paga e mi lascia andare.




Due mesi dopo

Suona il telefono, ed è Cliente. Vuole che vada a casa sua: devo installargli una nuova stampante.
Quella vecchia s'è forse guastata? No, ma s'è stufato di averla in giro e poi le cartucce costano troppo (cosa effettivamente vera). Così ne ha presa una sostanzialmente uguale, ma più recente. Almeno le cartucce sono più economiche.

Mi chiamo Piceno. Ascoli Piceno.

Tra i servizi che offriamo c'è anche la possibilità di utilizzare, a tariffa estremamente modica, un Pc con connessione a Internet.

Gli utenti di questo servizio sono per lo più adulti che hanno bisogno di gestire l'e-mail in caso di emergenza (per esempio quando non funziona la connessione a Internet di casa, anche se con l'avvento degli smartphone questa eventualità è diventata sempre più rara) e ragazzi che, privi di Internet a casa, devono svolgere compiti per scuola.

La ragazzina di seconda media che oggi si siede alla postazione è una nostra conoscenza da tempo: sebbene la mamma da anni prometta di installare una linea fissa presso l'abitazione, ancora non ha ottemperato. E così, quando deve compiere qualche ricerca, la giovane, ingenua e non troppo sveglia fanciulla si rivolge a noi.

Oggetto della ricerca odierna è un oscuro (per lei) pittore, Carlo Crivelli.
La pagina di Wikipedia che le serve come base, ispirazione, testo completo e compendio generale su tutto ciò che sul Crivelli si possa sapere riporta una data di nascita approssimativa (forse il 1430), un luogo di nascita preciso (Venezia), una data di morte precisa (1495) e un luogo di morte preciso (Ascoli Piceno).
Sembrerebbe tutto chiaro, ma abbiamo sottovalutato (o sopravvalutato) la nostra eroina. Ella, dopo aver fissato per un po' la pagina in questione, si volta di 180° (è seduta su uno sgabello girevole) e ci guarda con aria molto perplessa.

- Ma non si capisce!
- Che cosa non si capisce? le chiediamo.

- Non dice quando è morto!

Mi avvicino e controllo lo schermo. Dice chiaramente Ascoli Piceno, 1495.
- Ma guarda che è scritto lì.

- No! Qui dice che è nato a Venezia nel 1403, ma poi dice che Ascoli Piceno è morto nel 1495. E Crivelli quando è morto?

Impiego alcuni, basiti secondi per processare l'informazione.

- Ascoli Piceno non è una persona: è una città. È lì che Crivelli è morto.

- Ma se ha due nomi! mi ribatte la ragazza, evidentemente convinta che Ascoli sia un buon nome da dare alla propria - speriamo poco numerosa - discendenza e Piceno, evidentemente, il cognome.

- No, ragazza. Sei su Wikipedia: usala! Cliccaci sopra e vedrai che è una città nelle Marche.

Mi guarda, soppesa rapidamente l'idea. Poi sbuffa, con l'aria ancora tutto sommato incredula:
- Vabbè, sarà così.

Non controllerà mai l'informazione che le ho fornito, nemmeno per curiosità, nemmeno dopo aver finito la ricerca, lunga complessivamente una ventina di righe.