Così fan tutti

Abbiamo già parlato del Casinaro.

È quel vecchietto, inizialmente dall'apparenza inoffensiva ma poi svelatosi in tutta la sua supponenza, che è convinto di saperne, in materia di computer, non soltanto più di noi ma anche più di chiunque altro.
Salvo poi venire da noi per farsi sistemare il Pc con il quale ha pasticciato e naturalmente - l'ho detto che è supponente - spiegarci anche come fare a risolvere il guaio.

L'apparente contraddizione - se conosce, come crede, il modo di riportare le cose alla normalità, perché non lo fa lui stesso? - è stata più volte e in maniera sottile portata nel discorso, ma il Casinaro ha sempre svicolato, e né io né Collega abbiamo mai avuto troppa voglia di insistere.

Quest'oggi, il Casinaro arriva con la solita manfrina (parcheggiata la macchina in divieto, trotterella verso la porta affinché qualcuno venga ad aiutarlo a portare il Pc) e fa mettere il tower sul bancone. Poi spiega che cosa vuole, o almeno ci prova.

È importante notare che la configurazione, sulla quale abbiamo avuto modo di soffermarci in in precedenza, è variata dall'ultima volta: al momento prevede un hard disk SATA con Windows 7, un hard disk IDE con Linux Ubuntu, e un masterizzatore DVD SATA.

Il problema principale è il masterizzatore. A quanto pare, di punto in bianco ha deciso di smettere di funzionare o così, almeno, ci dice il Casinaro. C'è poi anche una questione minore: a quanto pare il disco con Linux è sparito: nemmeno il BIOS lo vede più; tuttavia, dato che a quanto pare lo tiene più che altro per bellezza, la cosa non è urgente.

Fedele come sempre a sé stesso, il Casinaro offre, contestualmente al problema, anche la soluzione.

«E quindi dovete rimettere a posto i cosi dietro che fanno i contatti».

Onestamente non possiamo dire che il suggerimento sia fuori luogo: infatti non capiamo a che accidenti si riferisca.

Proviamo a indagare e finiamo con il capire che i "cosi che fanno i contatti" (e che stanno dietro) altro non sono che i jumper, o ponticelli che dir si voglia, che si trovavano sui dispositivi IDE e servivano per decidere se configurare il drive come master o come slave, seguendo le serigrafie sulla plastica circostante i contatti o il disegno stampato sull'etichetta del disco.

Anche volendo, però, in questo caso non può essere colpa loro. Il masterizzatore è SATA, e quindi non fa uso di jumper (no, nemmeno quelli che c'erano nei primi modelli per impostare limiti e compatibilità con le varie versioni dello standard). Glielo spieghiamo, gli mostriamo che non v'è traccia di cosi e alla fine - pur probabilmente sospettando che un tempo ci fossero ma che ora siano spariti perché, in combutta con noi, vogliono fargli uno scherzo cattivo - si convince che la radice del problema dev'essere altrove.

Però ci dice anche che lui si diverte, quando monta e rimonta senza scopo né causa il suo Pc, a togliere e rimettere i ponticelli dall'unico posto in cui ancora si trovano, ossia il disco IDE.

«Però non mi ricordo mai dove stavano, e quindi ogni tanto non va».
«Beh» interviene Collega «basta guardare il disegno sull'etichetta, sul lato superiore del disco. È scritto lì».
«Non è possibile».

Glielo mostriamo.

«Ma non lo sapevo».
«E allora come faceva?» chiediamo, incuriositi.
«Come fanno tutti. Vado a caso finché non funziona».

fine della prima parte - continua

Un apostrofo rosa tra le parole "ti stampo"

Rientro in negozio, e Collega mi informa che ha chiamato una signora perché ha dei guai con la stampante. Cerco di sapere quali siano questi guai, ma mi sento rispondere che la signora è stata molto evasiva, e ha detto soltanto che «stampa male». E che ha bisogno di un intervento con urgenza.

Mi faccio dare l'indirizzo e vado.

La signora è tutto sommato giovane, ma mette immediatamente in chiaro che di computer capisce ben poco e che il massimo che sa fare è adoperare i programmi che usa per lavoro. Quello, e stampare, per lo meno fino a che la stampante - una vecchia HP multifunzione a getto d'inchiostro - non s'è messa a fare i capricci.

Chiedo quale sia esattamente il problema.

«Per stampare stampa» mi fa. «Però stampa tutto in rosa».

Mi faccio mostrare un esemplare. Effettivamente il testo è scritto in una sbiadita tonalità rossastra. Curioso. Molto curioso.

Chiedo quanto il problema ha iniziato a manifestarsi; mi viene risposto che ha cominciato di punto in bianco, senza che nessuno facesse alcunché per far arrabbiare la stampante. Visto che non riesco a cavare un ragno dal buco, mi metto a esaminare la poverina.

Fortunatamente c'è un piccolo schermo LCD che mi mostra un messaggio abbastanza utile: Controllare la cartuccia del nero.
Certo - ragiono tra me. In effetti, tutto ciò sarebbe normale se la cartuccia del nero non...

Apro la stampante. Estraggo la cartuccia del nero. Levo la striscia di plastica che copre gli ugelli (ma lascio al suo posto il chip). Rimetto la cartuccia dov'era. Lancio una stampa di prova. Tutto a posto.

Guardo la signora.
«Beh, sì, abbiamo cambiato la cartuccia. Ma pensavo di sapere come si cambia una cartuccia!».

Già.

La vecchietta che cancellò Google

Entra una signora piccolina e di età avanzata, sempre molto gentile, che oggi ha un'aria preoccupatissima. Ha tra le mani lo smartphone, ma non si limita a tenerlo: lo stropiccia, lo rigira, lo sposta da una mano all'altra. Poi lo appoggia sul bancone come se scottasse.

Dopo i convenevoli di rito, prova impacciata a spiegarci che le è successo. Ma tra l'imbarazzo e la preoccupazione, la signora si produce in una lunga e prolissa storia che comprende tutto ciò che ha fatto col telefono durante tutto il giorno precedente. Finché...

«...e così ho aperto l'email, e ce n'erano tante che non mi interessavano. E le ho fatte scivolare via, e ho continuato una dopo l'altra, perché erano tante... E devo aver premuto qualcosa, perché ho spostato un quadratino... e ho cancellato Google! Adesso su Internet non c'è più! Me lo può salvare?».

Resto un attimo perplesso, e mi faccio passare il telefono. Chiedo se intende che non c'è più una qualche icona nell'homepage, ma ci sono tutte. Mi fa aprire Chrome, e vengo accolto dalla normale pagina di default di Chrome per Android, con il logo di Google in alto, la barra di ricerca, i siti più visitati sotto e alcune notizie. Nulla di strano.

«Ecco, vede? Google non c'è più! L'ho cancellato io!»

Mentre immagino Page e Brin presi dal panico perché all'improvviso una vecchietta italiana li ha privati della loro creatura, inizio il terzo grado per cercare di capire che accidenti la signora stia dicendo. Poi, l'intuizione: le chiedo di descrivermi esattamente la homepage come lei se la ricorda. Ed ecco la chiave: originariamente Chrome si apriva sulla pagina di Google, e  non con la pagina di default del browser. Ed è questa pagina che le manca.

Un rapido valzer tra le impostazioni, e Google viene de-cancellato da Internet.

La signora è finalmente sollevata. «Allora adesso Google è tornato?». La rassicuro circa il fatto che le cose stanno proprio così. Mi ringrazia. «Meno male. Perché l'avevo cancellato e non sapevo proprio come fare a rimetterlo».

Perché non parli italiano?!

Un cliente abituale decide che è giunto il momento di cambiare la stampante: si affida pertanto a noi per avere una nuova laser in bianco e nero multifunzione, ma senza fax. Vuole inoltre che andiamo a casa sua a installarla.
Un compito semplice, tutto sommato.

La stampante arriva e chiamiamo il cliente: ci informa che al momento è fuori per lavoro, ma a casa c'è la moglie, la quale sa tutto. Purtroppo gli crediamo.

Arrivo davanti al portone d'ingresso del palazzo in cui abita il cliente e dò una scorsa ai campanelli: nessuno di essi riporta il cognome che mi serve. Ce ne sono tre o quattro completamente bianchi, e sospetto che proprio uno di quelli sia il campanello che fa al caso mio ma, non volendo tentare la fortuna, decido per una via alternativa.

Mentre dal balcone sopra la mia testa un cane inizia ad abbaiare furiosamente, estraggo il telefono e cerco il numero del cliente. Non faccio in tempo a comporlo: dal medesimo balcone giunge una voce.

 - Ah, ecco, sì! Ti apro!

Alzo lo sguardo, ma vedo solo il cane. Cioè, suppongo che un tempo sia stato un cane. Ora è una specie di tavolino da caffè, cieco da un occhio, che mi fissa sbavando. Dato che però la voce che mi ha salutato suonava cordiale, escludo che provenga dal tarchiato quadrupede e immagino che la signora sia già sparita in casa per azionare il tasto che mi permetterà di entrare.

Immagino bene dato che, un nanosecondo dopo, un benevolo clic mi permette di varcare, stampante in bracco, l'ingresso, dietro al quale c'è un piccolo vano. Oltre il vano, nella parte di fronte a me, s'aprono (per modo di dire, perché sono chiuse), due porte - l'una sulla destra, l'altra sulla sinistra - separate da un muro largo una settantina di centimetri.

Mi aspetto in pieno che una voce misteriosa mi imponga di scegliere la porta giusta rispondendo a un indovinello, ma nulla di tutto ciò accade. Apro la porta sulla destra e finalmente accedo alla tromba delle scale. E l'altra porta? Anch'essa conduce qui.

Non ho indicazioni su dove andare ma, dato che il cane stava al primo piano, lì mi dirigo. Un paio di rampe ed ecco il botolo, sulla cui schiena la stampante che porto amorevolmente tra le mani starebbe comoda; dietro di esso, una signora piccolina ed esagitata mi saluta e mi dice di seguirla.

Entro, affronto qualche piccolo convenevole. Poi la padrona di casa mi fa la domanda.

- E quella dove va?

Biascico già demoralizzato che, secondo il marito, lei sapeva dove avrei dovuto metterla, e così la signora provvede ad afferrare il cellulare e a importunare il consorte, il quale a quanto pare non l'ha istruita a dovere.

Alla fine scopriamo che dobbiamo dirigerci verso quella che un tempo era la cameretta dei figli e ora è stata adibita a stanza del computer/magazzino/ripostiglio/stanza multiuso. Dopo aver eliminato alcune felpe, un borsone, un piumone, delle lenzuola, un sacco da 40 kg di croccantini per cani mezzo vuoto, alcuni bicchieri, tre album di foto e una coppa (non nel senso del capocollo, ma in quello del trofeo), spunta un enorme monitor a tubo catodico posto accanto a un piccolo tower neppure troppo vecchio, oltre a un tastiera grande come la sala da ballo del Titanic e coperta da una quantità di polvere pari al volume d'acqua che oggi copre il transatlantico.

Sulla sinistra, semisepolte da una valanga di fogli, foglietti, volantini del supermercato, album da disegno e cartacce varie, giacciono due Brother dall'aspetto triste. Chiedo che cosa debba farne. La signora si inalbera un po' e corre immediatamente al cellulare. Un paio di minuti dopo, apprendo che per loro c'è in serbo un futuro preciso ma che a me non è dato conoscere, e che comunque devo spostarle per far spazio alla nuova arrivata.

Nonostante lo strano ambiente in cui sono capitato, l'installazione fila liscia anche quando verso la metà dell'opera spunta un portatile (dissepolto da sopra uno dei letti, dove giaceva insieme ad altra roba mista) che dovrà anch'esso venir messo in condizione di usare la stampante. A parte indicarmi il portatile, la signora mi lascia agire in solitaria per quasi tutto il tempo. Poi torna.

Ha un problema, la poverina, e si chiede se per caso sia in grado di risolverlo. Nel dubbio, mi faccio illustrare il guaio. Esso consiste nel fatto che il suo smartphone con soli 8 GB di memoria interna si lamenta in continuazione che lo spazio va esaurendosi, anche se lei è stata ligia a seguire i consigli delle amiche e ha comprato una scheda microSD da inserire all'interno.

I lunghi minuti successivi passano quindi nel tentativo di spiegare la differenza tra la memoria interna e la scheda microSD, il fatto che le applicazioni installate "producono" parecchi dati che di tanto in tanto può essere un bene cancellare (specie se non c'è molto spazio sul telefono), e che la scheda non basta inserirla: va anche configurata per essere adoperata.

In tutto ciò la signora, che poca dimestichezza ha con la tecnologia, mi segue come può, e se la cava anche piuttosto bene. Ha solo due preoccupazioni: poter continuare a usare Facebook, e che le sue foto non spariscano anche quando le salverà sulla scheda microSD e quando avrò spostato quelle che attualmente sono sulla memoria interna, ma anzi che possa continuare a vederle con facilità. Con tono rassicurante, le spiego che non corre rischi.

- Non c'è da preoccuparsi. Indipendentemente da dove sono salvate, la Galleria le visualizza lo stesso.

Concludo la frase con un sorriso, tenendo lo sguardo sul volto della signora. A mano a mano che sul viso di lei un'espressione attonita e confusa si fa largo il sorriso si spegne inesorabilmente, per venir sostituito da un'acuta espressione interrogativa.

- Io non capisco che lingua stai parlando.
Mi fa, gelida.

Indipendentemente l'ha messa in enorme difficoltà. E anche visualizza non aiuta troppo. Cerco le parole adatte.

- La Galleria fa vedere le foto che sono sulla memoria interna e anche quelle sulla schedina.

- Ecco! Lo vedi che se parli in italiano si capisce?

Ecco. Si vede che non parlo italiano, e non me ne sono mai accorto.

Di tutti i colori

Alla fine, la signora è tornata davvero, e pure con il modello della stampante. Così, come ci aveva chiesto, le ordiniamo una cartuccia d'inchiostro nero, che arriva un paio di giorni dopo. La signora ripassa, ritira la cartuccia e se ne torna a casa tutta contenta per la fine dell'Odissea. O così almeno credevamo.

Rispunta dopo un ulteriore paio di giorni, ed è estremamente infuriata.

- La stampante ancora non va! E io ho cambiato la cartuccia!

E poi ci fissa, invitandoci a usare i nostri rinomati poteri paranormali per darle una soluzione sui due piedi. Purtroppo dobbiamo deluderla, e così fissiamo un appuntamento durante il quale mi recherò di persona al capezzale della stampante per fare una diagnosi dal vivo.

Al pomeriggio sono là. I convenevoli sono molto pochi, ma la cosa a questo punto non mi stupisce. Vengo condotto senza tanti complimenti a una piccola scrivania su cui torreggia un computer non troppo recente e una Epson SX 125.

Mi siedo sulla scomoda seggiola posizionata davanti alla tastiera (sono sicuro che normalmente ci dev'essere una poltrona sofficissima, ma la signora l'ha chiaramente sostituita con una fabbricata da Farfarello in persona al fine di tenermi sulle spine) e accendo sia il Pc che la stampante. Quel che vedo mi piace poco e mi lascia un po' perplesso: la Epson mi segnala che c'è una cartuccia vuota. Strano, eppure l'ha appena cambiata. Vuoi vedere che...?

Apro lo Status Monitor e la conferma dei miei sospetti si palesa: la cartuccia del nero è piena, così come deve essere, ma quella del magenta è desolatamente vuota. E quella del ciano la seguirà a breve, a dirla tutta. E quella del giallo è a un quarto...

Spiego la situazione alla signora, che immediatamente s'inalbera.

- Ma come?! Io stampo solo in nero! Non può essere finito il rosso! E poi comunque stampo solo in nero! Deve stampare lo stesso.

E qui comincia una dolorosa mezz'ora, durante la quale le spiego in 327 modi diversi che quella stampante si rifiuta di stampare completamente se manca anche uno soltanto degli inchiostri, nonché le illustro le meraviglie della stampa in quadricromia, dove il grigio è generato usando i colori.

Alla fine, non è molto soddisfatta. Anzi, sta proprio fumando.

- E quindi? Mi fa, con aria acida e come se potessi inventarmi una soluzione diversa da quella che ormai è ovvia anche a lei.
La deludo nuovamente.
- E quindi deve cambiare la cartuccia del magenta. E ordinerei anche quella del ciano. E magari anche il giallo...

Lo sbuffo che segue queste mie parole farebbe invidia a una mucca regina.
- Ma potete ordinarmele voi? Stavolta sapete che stampante è?
- Certo, un paio di giorni e arrivano. La chiamiamo noi.

Riesco ad andarmene. Mi resta solo un dubbio: chissà se la cartuccia nera originale, quella che la signora ha cambiato in autonomia, era davvero senza inchiostro.