Perché non parli italiano?!

Un cliente abituale decide che è giunto il momento di cambiare la stampante: si affida pertanto a noi per avere una nuova laser in bianco e nero multifunzione, ma senza fax. Vuole inoltre che andiamo a casa sua a installarla.
Un compito semplice, tutto sommato.

La stampante arriva e chiamiamo il cliente: ci informa che al momento è fuori per lavoro, ma a casa c'è la moglie, la quale sa tutto. Purtroppo gli crediamo.

Arrivo davanti al portone d'ingresso del palazzo in cui abita il cliente e dò una scorsa ai campanelli: nessuno di essi riporta il cognome che mi serve. Ce ne sono tre o quattro completamente bianchi, e sospetto che proprio uno di quelli sia il campanello che fa al caso mio ma, non volendo tentare la fortuna, decido per una via alternativa.

Mentre dal balcone sopra la mia testa un cane inizia ad abbaiare furiosamente, estraggo il telefono e cerco il numero del cliente. Non faccio in tempo a comporlo: dal medesimo balcone giunge una voce.

 - Ah, ecco, sì! Ti apro!

Alzo lo sguardo, ma vedo solo il cane. Cioè, suppongo che un tempo sia stato un cane. Ora è una specie di tavolino da caffè, cieco da un occhio, che mi fissa sbavando. Dato che però la voce che mi ha salutato suonava cordiale, escludo che provenga dal tarchiato quadrupede e immagino che la signora sia già sparita in casa per azionare il tasto che mi permetterà di entrare.

Immagino bene dato che, un nanosecondo dopo, un benevolo clic mi permette di varcare, stampante in bracco, l'ingresso, dietro al quale c'è un piccolo vano. Oltre il vano, nella parte di fronte a me, s'aprono (per modo di dire, perché sono chiuse), due porte - l'una sulla destra, l'altra sulla sinistra - separate da un muro largo una settantina di centimetri.

Mi aspetto in pieno che una voce misteriosa mi imponga di scegliere la porta giusta rispondendo a un indovinello, ma nulla di tutto ciò accade. Apro la porta sulla destra e finalmente accedo alla tromba delle scale. E l'altra porta? Anch'essa conduce qui.

Non ho indicazioni su dove andare ma, dato che il cane stava al primo piano, lì mi dirigo. Un paio di rampe ed ecco il botolo, sulla cui schiena la stampante che porto amorevolmente tra le mani starebbe comoda; dietro di esso, una signora piccolina ed esagitata mi saluta e mi dice di seguirla.

Entro, affronto qualche piccolo convenevole. Poi la padrona di casa mi fa la domanda.

- E quella dove va?

Biascico già demoralizzato che, secondo il marito, lei sapeva dove avrei dovuto metterla, e così la signora provvede ad afferrare il cellulare e a importunare il consorte, il quale a quanto pare non l'ha istruita a dovere.

Alla fine scopriamo che dobbiamo dirigerci verso quella che un tempo era la cameretta dei figli e ora è stata adibita a stanza del computer/magazzino/ripostiglio/stanza multiuso. Dopo aver eliminato alcune felpe, un borsone, un piumone, delle lenzuola, un sacco da 40 kg di croccantini per cani mezzo vuoto, alcuni bicchieri, tre album di foto e una coppa (non nel senso del capocollo, ma in quello del trofeo), spunta un enorme monitor a tubo catodico posto accanto a un piccolo tower neppure troppo vecchio, oltre a un tastiera grande come la sala da ballo del Titanic e coperta da una quantità di polvere pari al volume d'acqua che oggi copre il transatlantico.

Sulla sinistra, semisepolte da una valanga di fogli, foglietti, volantini del supermercato, album da disegno e cartacce varie, giacciono due Brother dall'aspetto triste. Chiedo che cosa debba farne. La signora si inalbera un po' e corre immediatamente al cellulare. Un paio di minuti dopo, apprendo che per loro c'è in serbo un futuro preciso ma che a me non è dato conoscere, e che comunque devo spostarle per far spazio alla nuova arrivata.

Nonostante lo strano ambiente in cui sono capitato, l'installazione fila liscia anche quando verso la metà dell'opera spunta un portatile (dissepolto da sopra uno dei letti, dove giaceva insieme ad altra roba mista) che dovrà anch'esso venir messo in condizione di usare la stampante. A parte indicarmi il portatile, la signora mi lascia agire in solitaria per quasi tutto il tempo. Poi torna.

Ha un problema, la poverina, e si chiede se per caso sia in grado di risolverlo. Nel dubbio, mi faccio illustrare il guaio. Esso consiste nel fatto che il suo smartphone con soli 8 GB di memoria interna si lamenta in continuazione che lo spazio va esaurendosi, anche se lei è stata ligia a seguire i consigli delle amiche e ha comprato una scheda microSD da inserire all'interno.

I lunghi minuti successivi passano quindi nel tentativo di spiegare la differenza tra la memoria interna e la scheda microSD, il fatto che le applicazioni installate "producono" parecchi dati che di tanto in tanto può essere un bene cancellare (specie se non c'è molto spazio sul telefono), e che la scheda non basta inserirla: va anche configurata per essere adoperata.

In tutto ciò la signora, che poca dimestichezza ha con la tecnologia, mi segue come può, e se la cava anche piuttosto bene. Ha solo due preoccupazioni: poter continuare a usare Facebook, e che le sue foto non spariscano anche quando le salverà sulla scheda microSD e quando avrò spostato quelle che attualmente sono sulla memoria interna, ma anzi che possa continuare a vederle con facilità. Con tono rassicurante, le spiego che non corre rischi.

- Non c'è da preoccuparsi. Indipendentemente da dove sono salvate, la Galleria le visualizza lo stesso.

Concludo la frase con un sorriso, tenendo lo sguardo sul volto della signora. A mano a mano che sul viso di lei un'espressione attonita e confusa si fa largo il sorriso si spegne inesorabilmente, per venir sostituito da un'acuta espressione interrogativa.

- Io non capisco che lingua stai parlando.
Mi fa, gelida.

Indipendentemente l'ha messa in enorme difficoltà. E anche visualizza non aiuta troppo. Cerco le parole adatte.

- La Galleria fa vedere le foto che sono sulla memoria interna e anche quelle sulla schedina.

- Ecco! Lo vedi che se parli in italiano si capisce?

Ecco. Si vede che non parlo italiano, e non me ne sono mai accorto.