La casa che rende folli

Vengo chiamato in fretta e furia a casa di uno dei nostri clienti abituali, un brav'uomo che nel corso della propria vita ha fatto solo quattro errori: i figli.

Intanto perché sono proprio i figli la causa del problema: correndo e agitandosi per casa hanno intercettato il filo che dalla presa del telefono va al router, strattonandolo quindi con forza e costringendo il povero suddetto router a schiantarsi al suolo.

Il guaio è che si tratta di un router fornito da Wind e - vuoi perché siamo sotto le feste, vuoi perché i router sostitutivi sono merce rarissima - gli hanno preventivato almeno una settimana di attesa (scopriremo in seguito che in realtà aspetterà oltre un mese) prima di poter tornare a connettersi a Internet con un'apparecchiatura fornita dal suo operatore.

Ecco quindi che entriamo in scena noi: gli forniamo un router-muletto da usare fino a che i tecnici di Wind non interverranno.

Ovviamente tocca al sottoscritto andare a installare l'apparecchio e ad affrontare la Casa che Rende Folli.

Esagero? Proprio no.

Arrivo, e vengo accolto da una notizia apparentemente positiva. I figli che mi ronzeranno intorno saranno tre e non quattro, dato che il maggiore ha deciso di riparare dalla nonna.
E perché mai ha deciso così? Perché una delle sorelle - la figlia Numero 3 - ha invitato per quel giorno un manipolo di amiche con le quali sta giocando. Orrore.

Siamo all'inizio di dicembre, fa un bel freddo, e queste niente di meglio trovano da fare che correre dall'ingresso della casa al cortile, poi di nuovo all'ingresso, quindi in taverna, poi di nuovo all'ingresso e quindi in cortile, poi intorno alla casa per rientrare e scendere ancora in taverna... e via di seguito. E non in silenzio. L'intera operazione è accompagnata da un urlo a più voci che suona press'a poco come «eeeeeeeeeeeeeeeeeeEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEH!». L'urlo - e il passaggio delle donzelle a pochi centimetri da me, dato che la mensola del router è di fianco alla porta d'ingresso e a un paio di metri dalla scala che scende in taverna e sale al piano superiore - continuerà per tutto il tempo dell'assistenza.

Mentre già il mal di testa inizia a prendere piede, nella parte alta della scala appare il figlio più piccolo (Numero 4) che si appollaia su un gradino e osserva interessato la situazione. Non fa, per ora, alcun rumore.

Mi appresto a togliere dalla scatola il router ed ecco la figlia Numero 2 che s'unisce alla combriccola. S'avvicina, inclina la testa, mi fissa, si concentra. E inizia la cantilena: «Ma quanto tempo ci vuole? Ma poi Internet mi va? Ma quanto va veloce? Ma va più veloce di prima? Ma ci metti tanto? Ma io devo fare i compiti... mi dai Internet? E quanto tempo ci metti?».
Inutile darle una stima del tempo necessario: continuerà comunque a ballarmi intorno ripetendo le stesse domande con scarsissime varianti. e sarà appagata soltanto quando avrò annunciato che la connessione è tornata.

Quindi per ora ho un piccolo tornado femminile che periodicamente mi passa vicino gridando «eeeeeeeeeeeeeEEEEEEEEEEEH»  e una voce petulante che ripete «Ma quanto tempo ci vuole? Ma posso fare i compiti?».

Spero vivamente che non accada altro, quando anche Numero 4, dalla propria postazione sopraelevata, inizia a ricoprire il proprio ruolo di disturbo. Evidentemente già annoiato dallo spettacolo, esibisce una voce profonda che mai si sospetterebbe in un bambino tutto sommato piccolo  (e simile in maniera inquietante a quella adottata da Francesco Pannofino per il doppiaggio di Tom Hanks in Forrest Gump) ma anche completamente priva di espressione e attacca: «Mamma. Mamma. Mamma. Mamma. Mamma. Mamma» a ripetizione.

E perché la mamma non risponde? ci si potrebbe chiedere. Perché non è lì, né nelle vicinanze. Ma la cosa non disturba Numero 4 che, avviato il segnale di soccorso, può evidentemente disattivarlo solo con la presenza della genitrice. La quale non si paleserà.

Dunque la successiva mezz'ora passa all'incirca così:

- Tolgo il router dalla scatola
«eeeeeeeeeeeeeEEEEEEEEEEEEH» (sfiorandomi di misura)
«Ma quanto tempo ci vuole? Ma posso fare i compiti?»
«Mamma. Mamma. Mamma. Mamma. Mamma. Mamma»

- Appoggio il router sulla mensola.
«eeeeeeeeeeeeeEEEEEEEEEEEEH» (passando nell'altra direzione)
«Ma a me Internet serve per scuola. Ma va più veloce?»
«Mamma. Mamma. Mamma. Mamma. Mamma. Mamma»

- Inizio a collegare i cavi.
«eeeeeeeeeeeeeEEEEEEEEEEEEH» (eccole che tornano)
«Ma quanto tempo ci vuole? Ma posso fare i compiti?»
«Mamma. Mamma. Mamma. Mamma. Mamma. Mamma»

E così via. Fino a diventare folli.

Il padre? Uscito per commissioni non rimandabili. Onestamente, non posso dargli torto.

...con i suoi pugni atomici Mozilla!

Sono a casa di un signore anziano (80 anni quest'anno) ma decisamente arzillo che ha abbracciato con entusiasmo l'uso del computer per compiere tutta una serie di operazioni che altrimenti lo costringerebbero a uscire di casa.

Insomma, trova il PC davvero comodo ed è un utente entusiasta.

Tuttavia la scarsa dimestichezza col mezzo, l'età e le insane complicazioni di molti siti web lo costringono di tanto in tanto a chiedere aiuto, ed è qui che entriamo in scena noi.

L'obiettivo di oggi è risolvere un problema con la posta elettronica: a quanto pare Alice Mail ha deciso, di punto in bianco, di  non inviare più i messaggi.

Mi siedo in posizione e, non ricordando quale browser egli utilizzi di solito per accedere alla webmail (sul suo computer ci sono installati Microsoft Edge, Google Chrome e Mozilla Firefox), mi rivolgo al mio ospite.

«Quale browser usa di solito? Questo?» chiedo, indicando l'icona di Chrome.

«No!» mi fa lui. «Quello non lo uso mai per la posta. Apri Mazinga.

Avvio Mazinga Firefox, e possiamo metterci al lavoro.

Il potere di Electro

(seconda parte dell'ultima saga del Casinaro).

Una volta chiarita la faccenda dei maledetti ponticelli di cui abbiamo parlato nel post precedente, resta ancora un problema da risolvere: la sparizione del disco con Linux.

Sebbene fisicamente presente, per il computer che lo ospita pare diventato invisibile: non soltanto Windows si rifiuta di rilevarlo, ma nemmeno dal Bios giungono notizie confortanti. Per cui iniziamo a sospettare che sia leggermente defunto.

Ad ogni modo, verifichiamo. Provando ad alimentarlo (e dopo esserci accertati che non ci fossero problemi di alimentazione), possiamo solo constatare che è davvero morto: non gira, non ronfa, non fa nemmeno un brutto suono (che, per quanto brutto, ci direbbe che ancora c'è della vita).

Constatato il decesso, attendiamo il ritorno del Casinaro e gli comunichiamo la notizia, convinti che la cosa lo abbatta e che magari lo faccia infuriare con noi (dato che per un motivo o per l'altro la colpa dev'essere nostra). Invece si illumina.

«Ah! Ma allora forse è stato per colpa delle scintille!» dice, come colto da improvvisa intuizione.
«Scintille?» facciamo noi, increduli e un pochino spaventati.

«Sì» ci spiega, conciliante, «perché quando tolgo il cavo, e poi lo rimetto, alle volte si vedono le scintille. E magari l'hanno rovinato».

Un nanosecondo per chiederci perché mai ci siano delle scintille all'interno del computer (scintille che peraltro non abbiamo visto), e poi siamo noi ad avere un'intuizione. Raccapricciante.

«Ma lei stacca i fili a computer acceso?!» chiediamo.

«Beh, certo. Mica posso aspettare che si spegna, poi staccare e riattaccare, poi riaccenderlo, poi se non va bene aspettare ancora che si spenga... Così faccio prima» conclude, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Poi, colto da dubbio, chiede: «Ma voi come fate?».

Gli spieghiamo che ogni volta che colleghiamo o scolleghiamo qualche componente interno ci assicuriamo che il computer sia non solo spento, ma anche staccato dalla rete elettrica.
Ciò lo scandalizza oltre ogni dire.
«Ma voi siete matti! Ma quanto tempo buttato!».

Eh, già. Perché lui, invece, a rischiare il disco e la vita...

Così fan tutti

Abbiamo già parlato del Casinaro.

È quel vecchietto, inizialmente dall'apparenza inoffensiva ma poi svelatosi in tutta la sua supponenza, che è convinto di saperne, in materia di computer, non soltanto più di noi ma anche più di chiunque altro.
Salvo poi venire da noi per farsi sistemare il Pc con il quale ha pasticciato e naturalmente - l'ho detto che è supponente - spiegarci anche come fare a risolvere il guaio.

L'apparente contraddizione - se conosce, come crede, il modo di riportare le cose alla normalità, perché non lo fa lui stesso? - è stata più volte e in maniera sottile portata nel discorso, ma il Casinaro ha sempre svicolato, e né io né Collega abbiamo mai avuto troppa voglia di insistere.

Quest'oggi, il Casinaro arriva con la solita manfrina (parcheggiata la macchina in divieto, trotterella verso la porta affinché qualcuno venga ad aiutarlo a portare il Pc) e fa mettere il tower sul bancone. Poi spiega che cosa vuole, o almeno ci prova.

È importante notare che la configurazione, sulla quale abbiamo avuto modo di soffermarci in in precedenza, è variata dall'ultima volta: al momento prevede un hard disk SATA con Windows 7, un hard disk IDE con Linux Ubuntu, e un masterizzatore DVD SATA.

Il problema principale è il masterizzatore. A quanto pare, di punto in bianco ha deciso di smettere di funzionare o così, almeno, ci dice il Casinaro. C'è poi anche una questione minore: a quanto pare il disco con Linux è sparito: nemmeno il BIOS lo vede più; tuttavia, dato che a quanto pare lo tiene più che altro per bellezza, la cosa non è urgente.

Fedele come sempre a sé stesso, il Casinaro offre, contestualmente al problema, anche la soluzione.

«E quindi dovete rimettere a posto i cosi dietro che fanno i contatti».

Onestamente non possiamo dire che il suggerimento sia fuori luogo: infatti non capiamo a che accidenti si riferisca.

Proviamo a indagare e finiamo con il capire che i "cosi che fanno i contatti" (e che stanno dietro) altro non sono che i jumper, o ponticelli che dir si voglia, che si trovavano sui dispositivi IDE e servivano per decidere se configurare il drive come master o come slave, seguendo le serigrafie sulla plastica circostante i contatti o il disegno stampato sull'etichetta del disco.

Anche volendo, però, in questo caso non può essere colpa loro. Il masterizzatore è SATA, e quindi non fa uso di jumper (no, nemmeno quelli che c'erano nei primi modelli per impostare limiti e compatibilità con le varie versioni dello standard). Glielo spieghiamo, gli mostriamo che non v'è traccia di cosi e alla fine - pur probabilmente sospettando che un tempo ci fossero ma che ora siano spariti perché, in combutta con noi, vogliono fargli uno scherzo cattivo - si convince che la radice del problema dev'essere altrove.

Però ci dice anche che lui si diverte, quando monta e rimonta senza scopo né causa il suo Pc, a togliere e rimettere i ponticelli dall'unico posto in cui ancora si trovano, ossia il disco IDE.

«Però non mi ricordo mai dove stavano, e quindi ogni tanto non va».
«Beh» interviene Collega «basta guardare il disegno sull'etichetta, sul lato superiore del disco. È scritto lì».
«Non è possibile».

Glielo mostriamo.

«Ma non lo sapevo».
«E allora come faceva?» chiediamo, incuriositi.
«Come fanno tutti. Vado a caso finché non funziona».

fine della prima parte - continua

Un apostrofo rosa tra le parole "ti stampo"

Rientro in negozio, e Collega mi informa che ha chiamato una signora perché ha dei guai con la stampante. Cerco di sapere quali siano questi guai, ma mi sento rispondere che la signora è stata molto evasiva, e ha detto soltanto che «stampa male». E che ha bisogno di un intervento con urgenza.

Mi faccio dare l'indirizzo e vado.

La signora è tutto sommato giovane, ma mette immediatamente in chiaro che di computer capisce ben poco e che il massimo che sa fare è adoperare i programmi che usa per lavoro. Quello, e stampare, per lo meno fino a che la stampante - una vecchia HP multifunzione a getto d'inchiostro - non s'è messa a fare i capricci.

Chiedo quale sia esattamente il problema.

«Per stampare stampa» mi fa. «Però stampa tutto in rosa».

Mi faccio mostrare un esemplare. Effettivamente il testo è scritto in una sbiadita tonalità rossastra. Curioso. Molto curioso.

Chiedo quanto il problema ha iniziato a manifestarsi; mi viene risposto che ha cominciato di punto in bianco, senza che nessuno facesse alcunché per far arrabbiare la stampante. Visto che non riesco a cavare un ragno dal buco, mi metto a esaminare la poverina.

Fortunatamente c'è un piccolo schermo LCD che mi mostra un messaggio abbastanza utile: Controllare la cartuccia del nero.
Certo - ragiono tra me. In effetti, tutto ciò sarebbe normale se la cartuccia del nero non...

Apro la stampante. Estraggo la cartuccia del nero. Levo la striscia di plastica che copre gli ugelli (ma lascio al suo posto il chip). Rimetto la cartuccia dov'era. Lancio una stampa di prova. Tutto a posto.

Guardo la signora.
«Beh, sì, abbiamo cambiato la cartuccia. Ma pensavo di sapere come si cambia una cartuccia!».

Già.

La vecchietta che cancellò Google

Entra una signora piccolina e di età avanzata, sempre molto gentile, che oggi ha un'aria preoccupatissima. Ha tra le mani lo smartphone, ma non si limita a tenerlo: lo stropiccia, lo rigira, lo sposta da una mano all'altra. Poi lo appoggia sul bancone come se scottasse.

Dopo i convenevoli di rito, prova impacciata a spiegarci che le è successo. Ma tra l'imbarazzo e la preoccupazione, la signora si produce in una lunga e prolissa storia che comprende tutto ciò che ha fatto col telefono durante tutto il giorno precedente. Finché...

«...e così ho aperto l'email, e ce n'erano tante che non mi interessavano. E le ho fatte scivolare via, e ho continuato una dopo l'altra, perché erano tante... E devo aver premuto qualcosa, perché ho spostato un quadratino... e ho cancellato Google! Adesso su Internet non c'è più! Me lo può salvare?».

Resto un attimo perplesso, e mi faccio passare il telefono. Chiedo se intende che non c'è più una qualche icona nell'homepage, ma ci sono tutte. Mi fa aprire Chrome, e vengo accolto dalla normale pagina di default di Chrome per Android, con il logo di Google in alto, la barra di ricerca, i siti più visitati sotto e alcune notizie. Nulla di strano.

«Ecco, vede? Google non c'è più! L'ho cancellato io!»

Mentre immagino Page e Brin presi dal panico perché all'improvviso una vecchietta italiana li ha privati della loro creatura, inizio il terzo grado per cercare di capire che accidenti la signora stia dicendo. Poi, l'intuizione: le chiedo di descrivermi esattamente la homepage come lei se la ricorda. Ed ecco la chiave: originariamente Chrome si apriva sulla pagina di Google, e  non con la pagina di default del browser. Ed è questa pagina che le manca.

Un rapido valzer tra le impostazioni, e Google viene de-cancellato da Internet.

La signora è finalmente sollevata. «Allora adesso Google è tornato?». La rassicuro circa il fatto che le cose stanno proprio così. Mi ringrazia. «Meno male. Perché l'avevo cancellato e non sapevo proprio come fare a rimetterlo».

Perché non parli italiano?!

Un cliente abituale decide che è giunto il momento di cambiare la stampante: si affida pertanto a noi per avere una nuova laser in bianco e nero multifunzione, ma senza fax. Vuole inoltre che andiamo a casa sua a installarla.
Un compito semplice, tutto sommato.

La stampante arriva e chiamiamo il cliente: ci informa che al momento è fuori per lavoro, ma a casa c'è la moglie, la quale sa tutto. Purtroppo gli crediamo.

Arrivo davanti al portone d'ingresso del palazzo in cui abita il cliente e dò una scorsa ai campanelli: nessuno di essi riporta il cognome che mi serve. Ce ne sono tre o quattro completamente bianchi, e sospetto che proprio uno di quelli sia il campanello che fa al caso mio ma, non volendo tentare la fortuna, decido per una via alternativa.

Mentre dal balcone sopra la mia testa un cane inizia ad abbaiare furiosamente, estraggo il telefono e cerco il numero del cliente. Non faccio in tempo a comporlo: dal medesimo balcone giunge una voce.

 - Ah, ecco, sì! Ti apro!

Alzo lo sguardo, ma vedo solo il cane. Cioè, suppongo che un tempo sia stato un cane. Ora è una specie di tavolino da caffè, cieco da un occhio, che mi fissa sbavando. Dato che però la voce che mi ha salutato suonava cordiale, escludo che provenga dal tarchiato quadrupede e immagino che la signora sia già sparita in casa per azionare il tasto che mi permetterà di entrare.

Immagino bene dato che, un nanosecondo dopo, un benevolo clic mi permette di varcare, stampante in bracco, l'ingresso, dietro al quale c'è un piccolo vano. Oltre il vano, nella parte di fronte a me, s'aprono (per modo di dire, perché sono chiuse), due porte - l'una sulla destra, l'altra sulla sinistra - separate da un muro largo una settantina di centimetri.

Mi aspetto in pieno che una voce misteriosa mi imponga di scegliere la porta giusta rispondendo a un indovinello, ma nulla di tutto ciò accade. Apro la porta sulla destra e finalmente accedo alla tromba delle scale. E l'altra porta? Anch'essa conduce qui.

Non ho indicazioni su dove andare ma, dato che il cane stava al primo piano, lì mi dirigo. Un paio di rampe ed ecco il botolo, sulla cui schiena la stampante che porto amorevolmente tra le mani starebbe comoda; dietro di esso, una signora piccolina ed esagitata mi saluta e mi dice di seguirla.

Entro, affronto qualche piccolo convenevole. Poi la padrona di casa mi fa la domanda.

- E quella dove va?

Biascico già demoralizzato che, secondo il marito, lei sapeva dove avrei dovuto metterla, e così la signora provvede ad afferrare il cellulare e a importunare il consorte, il quale a quanto pare non l'ha istruita a dovere.

Alla fine scopriamo che dobbiamo dirigerci verso quella che un tempo era la cameretta dei figli e ora è stata adibita a stanza del computer/magazzino/ripostiglio/stanza multiuso. Dopo aver eliminato alcune felpe, un borsone, un piumone, delle lenzuola, un sacco da 40 kg di croccantini per cani mezzo vuoto, alcuni bicchieri, tre album di foto e una coppa (non nel senso del capocollo, ma in quello del trofeo), spunta un enorme monitor a tubo catodico posto accanto a un piccolo tower neppure troppo vecchio, oltre a un tastiera grande come la sala da ballo del Titanic e coperta da una quantità di polvere pari al volume d'acqua che oggi copre il transatlantico.

Sulla sinistra, semisepolte da una valanga di fogli, foglietti, volantini del supermercato, album da disegno e cartacce varie, giacciono due Brother dall'aspetto triste. Chiedo che cosa debba farne. La signora si inalbera un po' e corre immediatamente al cellulare. Un paio di minuti dopo, apprendo che per loro c'è in serbo un futuro preciso ma che a me non è dato conoscere, e che comunque devo spostarle per far spazio alla nuova arrivata.

Nonostante lo strano ambiente in cui sono capitato, l'installazione fila liscia anche quando verso la metà dell'opera spunta un portatile (dissepolto da sopra uno dei letti, dove giaceva insieme ad altra roba mista) che dovrà anch'esso venir messo in condizione di usare la stampante. A parte indicarmi il portatile, la signora mi lascia agire in solitaria per quasi tutto il tempo. Poi torna.

Ha un problema, la poverina, e si chiede se per caso sia in grado di risolverlo. Nel dubbio, mi faccio illustrare il guaio. Esso consiste nel fatto che il suo smartphone con soli 8 GB di memoria interna si lamenta in continuazione che lo spazio va esaurendosi, anche se lei è stata ligia a seguire i consigli delle amiche e ha comprato una scheda microSD da inserire all'interno.

I lunghi minuti successivi passano quindi nel tentativo di spiegare la differenza tra la memoria interna e la scheda microSD, il fatto che le applicazioni installate "producono" parecchi dati che di tanto in tanto può essere un bene cancellare (specie se non c'è molto spazio sul telefono), e che la scheda non basta inserirla: va anche configurata per essere adoperata.

In tutto ciò la signora, che poca dimestichezza ha con la tecnologia, mi segue come può, e se la cava anche piuttosto bene. Ha solo due preoccupazioni: poter continuare a usare Facebook, e che le sue foto non spariscano anche quando le salverà sulla scheda microSD e quando avrò spostato quelle che attualmente sono sulla memoria interna, ma anzi che possa continuare a vederle con facilità. Con tono rassicurante, le spiego che non corre rischi.

- Non c'è da preoccuparsi. Indipendentemente da dove sono salvate, la Galleria le visualizza lo stesso.

Concludo la frase con un sorriso, tenendo lo sguardo sul volto della signora. A mano a mano che sul viso di lei un'espressione attonita e confusa si fa largo il sorriso si spegne inesorabilmente, per venir sostituito da un'acuta espressione interrogativa.

- Io non capisco che lingua stai parlando.
Mi fa, gelida.

Indipendentemente l'ha messa in enorme difficoltà. E anche visualizza non aiuta troppo. Cerco le parole adatte.

- La Galleria fa vedere le foto che sono sulla memoria interna e anche quelle sulla schedina.

- Ecco! Lo vedi che se parli in italiano si capisce?

Ecco. Si vede che non parlo italiano, e non me ne sono mai accorto.

Di tutti i colori

Alla fine, la signora è tornata davvero, e pure con il modello della stampante. Così, come ci aveva chiesto, le ordiniamo una cartuccia d'inchiostro nero, che arriva un paio di giorni dopo. La signora ripassa, ritira la cartuccia e se ne torna a casa tutta contenta per la fine dell'Odissea. O così almeno credevamo.

Rispunta dopo un ulteriore paio di giorni, ed è estremamente infuriata.

- La stampante ancora non va! E io ho cambiato la cartuccia!

E poi ci fissa, invitandoci a usare i nostri rinomati poteri paranormali per darle una soluzione sui due piedi. Purtroppo dobbiamo deluderla, e così fissiamo un appuntamento durante il quale mi recherò di persona al capezzale della stampante per fare una diagnosi dal vivo.

Al pomeriggio sono là. I convenevoli sono molto pochi, ma la cosa a questo punto non mi stupisce. Vengo condotto senza tanti complimenti a una piccola scrivania su cui torreggia un computer non troppo recente e una Epson SX 125.

Mi siedo sulla scomoda seggiola posizionata davanti alla tastiera (sono sicuro che normalmente ci dev'essere una poltrona sofficissima, ma la signora l'ha chiaramente sostituita con una fabbricata da Farfarello in persona al fine di tenermi sulle spine) e accendo sia il Pc che la stampante. Quel che vedo mi piace poco e mi lascia un po' perplesso: la Epson mi segnala che c'è una cartuccia vuota. Strano, eppure l'ha appena cambiata. Vuoi vedere che...?

Apro lo Status Monitor e la conferma dei miei sospetti si palesa: la cartuccia del nero è piena, così come deve essere, ma quella del magenta è desolatamente vuota. E quella del ciano la seguirà a breve, a dirla tutta. E quella del giallo è a un quarto...

Spiego la situazione alla signora, che immediatamente s'inalbera.

- Ma come?! Io stampo solo in nero! Non può essere finito il rosso! E poi comunque stampo solo in nero! Deve stampare lo stesso.

E qui comincia una dolorosa mezz'ora, durante la quale le spiego in 327 modi diversi che quella stampante si rifiuta di stampare completamente se manca anche uno soltanto degli inchiostri, nonché le illustro le meraviglie della stampa in quadricromia, dove il grigio è generato usando i colori.

Alla fine, non è molto soddisfatta. Anzi, sta proprio fumando.

- E quindi? Mi fa, con aria acida e come se potessi inventarmi una soluzione diversa da quella che ormai è ovvia anche a lei.
La deludo nuovamente.
- E quindi deve cambiare la cartuccia del magenta. E ordinerei anche quella del ciano. E magari anche il giallo...

Lo sbuffo che segue queste mie parole farebbe invidia a una mucca regina.
- Ma potete ordinarmele voi? Stavolta sapete che stampante è?
- Certo, un paio di giorni e arrivano. La chiamiamo noi.

Riesco ad andarmene. Mi resta solo un dubbio: chissà se la cartuccia nera originale, quella che la signora ha cambiato in autonomia, era davvero senza inchiostro.

Perché non mi leggi nel pensiero?

Ci sono clienti convinti di possedere poteri paranormali e di essere pertanto in grado di diagnosticare i problemi dei loro computer e dispositivi vari con una semplice occhiata.

Poi ci sono quelli convinti che a possedere poteri paranormali siamo noi.

Entra una signora non troppo avanti con l'età, una cliente saltuaria sempre gentile ma allo stesso tempo molto rigida: quando parliamo con lei abbiamo sempre l'impressione che sia seccata per qualche motivo, e che ci siano buone probabilità che quel motivo siamo noi. La accoglie Collega.

«Buongiorno, mi servirebbe una cartuccia per la stampante. Nera.»
«Certo... Che stampante è?»
«La mia!»
«Ehm... Sì, immagino. Ma ho bisogno del modello per darle la cartuccia giusta.»
«Ma la stampante l'ho presa qui! Voi non sapete qual è?»
«Purtroppo no...» conclude Collega con un tono nel quale cerca di far confluire tutta la vergogna che prova per il fatto di non essere in grado di ricordare quale sia il modello di una stampante che abbiamo venduto un paio d'anni prima e della quale non abbiamo più sentito parlare fino a quel momento.

Dal retro, avverto tutta la sua contrizione. La signora no.

«Mpf! Vabbè, allora vado a casa a controllare e poi torno. Grazie e buona giornata».

Il penitente

Innanzitutto, una piccola confessione.
Prima di iniziare a fare questo mestiere, ma anche prima che Internet si diffondesse tanto da essere parte della vita di tutti i giorni, non avevo idea di quanto gli uomini di una certa età - sposati, single, presi in ménage complicatissimi - avessero bisogno di certe "distrazioni".
La realtà è che il Maniaco, per quanto sia un personaggio perfino macchiettistico e, per certi versi, "al limite", non è l'unico a usare il computer principalmente a fini - per così dire - ludici. Anzi.

Il Penitente è un signore simpatico, che ha passato da qualche anno la settantina, e che oltre a un'attiva vita ricca di frequentazioni femminili ha anche un'altrettanto attiva vita online, del medesimo genere.
Di tanto in tanto passa da noi perché, pur destreggiandosi con relativa abilità tra i siti per adulti e sapendo usare con una certa padronanza la webcam1, non è esattamente un esperto di computer: così sovente si trova aggredito da virus e malware di ogni sorta. Va da sé, infine, che è anche un adepto di Facebook, strumento che gli permette di ampliare il proprio giro di conoscenze virtuali e reali, e mantenere i contatti.

A un certo punto, però, il Penitente è stato folgorato sulla via di Damasco (e perciò ha guadagnato quel soprannome). Non che abbia deciso di rinunciare completamente alla propria vita libertina; però ha deciso di cancellarsi da Facebook.

È entrato in negozio una mattina con l'aria decisa: avremmo dovuto formattargli il Pc - impestato di virus come e più del solito - e, a cose fatto, avremmo dovuto davanti a lui eliminare il suo profilo Facebook, scagliandolo in un buco nero così lontano che se ne sarebbe dovuto perdere anche il ricordo.

Eseguiamo la formattazione, quindi gli telefoniamo. Arriva, ed è già meno sicuro di prima.
Da un lato, il recente scandalo di Cambridge Analytica gli ha fatto temere per la sicurezza dei propri dati. Dall'altro, non se la sente di abbandonare completamente tutti i contatti.
Così, dopo cinque minuti di chiacchiericcio, decide di passare dalla severa e irreversibile cancellazione dell'account a una più mite disattivazione.

Tralasciamo la pantomima necessaria per recuperare la password di Facebook (era salvata nel Pc, lui stava sempre loggato, per cui non l'ha praticamente mai usata né memorizzata) e pure quella della casella email collegata. Diciamo solo che dopo una mezz'oretta di lavoro il profilo è disattivato, e il Penitente sembra soddisfatto della sua buona azione. «È una roba inutile [Facebook], che fa solo perdere tempo. E poi ormai m'è venuto a noia» si ripete, con diverse variazioni sul tema, mentre si avvia verso la porta e ci lascia. Sono circa le quattro del pomeriggio.

A questo punto vado a fare un'assistenza, e mi dimentico del Penitente.

Torno verso le cinque e un quarto, e Collega mi guarda sghignazzando.

Collega: È tornato il tuo amico.
Io: Amico? Che amico?
Collega: Il Penitente.
Io: Eh? A fare che? Abbiamo dimenticato qualcosa?
Collega: No, no, ma... [ridacchia] s'è pentito di essersi pentito.
Lo guardo con un sopracciglio alzato. Così alzato che rischia di perdersi tra i capelli.
Collega [che ormai sghignazza senza più ritegno alcuno]: È venuto a chiedermi di riattivargli l'account di Facebook!








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Note:
1 Fortunatamente, di ciò non ho esperienza diretta. Sfortunatamente per lui, ce l'ha Collega, il quale un giorno, dopo aver salvato tutti i dati del Pc del Penitente in vista di una formattazione, ha verificato che la copia fosse andata a buon fine provando a far partire qualche video. Beh, un video. Uno solo. Poi non l'ha più fatto.

Ceci n'est pas un ordinateur

Con il solito passo zoppicante, ecco che dalla porta entra nuovamente il Casinaro.
Dopo la solita manfrina del recupero del computer (un desktop) dalla macchina, ci espone il problema. Questa volta non si tratta- pare - di questioni hardware, ma puramente software. O forse di un'infestazione spiritica.

Casinaro: Perché qui c'è Linux, e Windows, e parte Linux, ma a me serve che parta Windows.

Magari a prima vista non sembra, ma una spiegazione del genere è sorprendentemente chiara, per gli standard che spesso ci toccano. Si capisce, infatti, che sul Pc ci sono installati sia Windows che Linux, che quest'ultimo è il sistema operativo caricato di default dal bootloader e che il Casinaro preferisce che invece l'OS di default sia Windows. Non difficile.

Collega: Va bene, allora lo accendiamo e lo configuriamo. Non ci vorrà molto.
Casinaro: Eh, no! Prima mi dovete togliere Linux! Windows l'ho già tolto io, così non s'incasina. Adesso voi mi togliete Linux.

Come per magia, la situazione che pareva tanto semplice è di colpo diventata un quadro di Magritte. Come facciamo a "levare" Linux senza accendere il computer? E che vuol dire «Windows l'ho già tolto io?».

Poniamo delicatamente la seconda domanda, e il Casinaro si spiega. Per modo di dire. Toglie la paratia laterale e indica l'interno.

Casinaro: Visto? Windows l'ho tolto. Manca da togliere Linux.

Guardiamo dentro. Pare tutto in ordine, meno un dettaglio: l'hard disk non c'è più. Chiediamo lumi.

Casinaro: Ve l'ho detto: Windows l'ho tolto! Così non si tocca. Ma non so come si toglie Linux. Voi lo togliete, poi rimetto Windows.

Lo stuporoso silenzio che segue questa trionfante spiegazione crea momento di gelo nel negozio, appesantiti dal fatto che il Casinaro ci guarda non solo come se fossimo due idioti, ma anche come se la sua spiegazione fosse perfettamente logica.

Collega: Ehm... no. Windows e Linux stanno insieme sul disco. Quello che lei ha tolto. Senza quello non possiamo fare niente.
Casinaro: Allora per togliere Linux devo prima rimettere Windows?
Una rapida riflessione. Poi l'unica risposta possibile.
Collega: Sì. Bisogna rimettere Windows.
Casinaro: Allora vado a casa a prenderlo.

Come hai installato le cartucce? Aggressivamente

Vengo chiamato da una signora per la quale, appena un paio di settimane prima, ho configurato una stampante. La signora in questione mi è parsa sveglia e intelligente, e non era riuscita da sola nell'intento soltanto perché le istruzioni fornite a corredo della stampante erano meno che chiare, e pertanto c'era bisogno di intuire ciò che il manuale non diceva a chiare lettere.

Il motivo di questa chiamata è ancora la stampante. Com'è purtroppo normale, le cartucce fornite insieme all'apparecchio erano praticamente vuote, e così la brava signora ha provveduto a sostituirle: ne ha comprate di nuove e le ha installate ma - così mi dice per telefono - la stampante non funziona.

Dopo aver fatto qualche indagine telefonica decido che è il caso di vedere la situazione di persona. Raggiungo la casa, vengo accolto cordialmente e quindi portato al capezzale della macchina che tanto sta facendo penare la gentile signora.

Non appena entro nella stanza, vedo sulla scrivania il risultato del passaggio di Jack lo Squartatore di Cartucce: ci sono due cartucce - una nera, l'altra a colori - cui è stato strappato con foga il chip.

Resto un attimo interdetto, afferro le cartucce e mi volto verso la padrona di casa. Questa deve intuire dalla mia faccia che c'è qualcosa che non va, poiché non faccio in tempo a proferire parola che, con aria colpevole e mordendosi il labbro, mi sussurra mogia: «Sapevo di aver fatto qualcosa di sbagliato».

La brava signora ha acquistato le cartucce nuove, le ha portate a casa, le ha estratte dalla confezione di cartoncino e dal sacchettino di plastica che le conteneva. Poi si aspettava di vedere la sottile striscia di plastica che generalmente protegge le testine (e che va rimossa prima di installare le cartucce) ma, non trovandola, ha deciso di togliere ciò che più le somigliava: ha così strappato via completamente il chip che permette alla stampante di gestire le cartucce.

Riferisco che l'unica soluzione è acquistare delle cartucce nuove, saluto e mi avvio verso l'uscita. «E così ho buttato 80 euro» commenta la signora. E poi aggiunge: «E pensare che ho fatto anche una gran fatica a toglierlo!».






Il giorno dopo la signora mi ritelefona: dopo aver messo delle cartucce nuove, ma senza macellarle, la stampante funziona che è un piacere.

Wibbly-wobbly, timey-wimey

Entra in negozio un signore piuttosto anziano che già conosciamo. È dotato di tanto entusiasmo per il mondo dell'informatica e delle tecnologia in generale, ma ha una scarsa dimestichezza con alcune informazioni fondamentali.

Ora ha un problema: ha comperato un nuovo smartphone, che gli è stato configurato dal personale del centro commerciale dove è avvenuto l'acquisto, ma lo schermo «si spegne troppo presto».

Non ha tutti i torti a lamentarsi: una rapida verifica ci mostra che la disattivazione del display entra in funzione dopo appena 15 secondi, decisamente troppo pochi per chi - a causa dell'età - non ha l'occhio particolarmente pronto.

Gli proponiamo quindi di aumentare il tempo a 30 secondi, o meglio ancora a 1 minuto, o a 2.

Cliente: - Allora facciamo 30 secondi. Così, se devo leggere qualche articolo di giornale faccio a tempo. Sa, io leggo lentamente. Eh, l'età....
Collega: - Certo, possiamo fare così. Però forse sarebbe meglio impostare a 1 minuto.
Cliente: - No, no! Mi servono almeno 30 secondi! Un minuto non mi basta!

Collega, colto alla sprovvista da quell'ultima osservazione, solleva di scatto la testa e lo fissa con un silenzio interrogativo, venendo però ricambiato dallo sguardo di chi ha affermato un'ovvia verità e, pertanto, si aspetta che tutti concordino con lui.

Un attimo di smarrimento e una lampadina si accende nella mente di Collega, il quale riesce non so come a mantenere un tono e un atteggiamento cristallinamente professionali.

Collega: - Ma... Guardi. Un minuto è più di 30 secondi.
Cliente (sorpreso): Di più?!
Collega (sempre senza scomporsi): Sì. È esattamente il doppio.
Cliente (rasserenato eppure ancora un po' titubante): Allora se è di più va bene. Facciamo il suo minuto.

Non è più tornato, quindi immagino che il suo - di Collega - minuto l'abbia soddisfatto.