Riti domenicali

Questa non è una storia strettamente "informatica" (oddio, non lo è nemmeno largamente), ma ci dà un interessante spaccato sociale.

È il primo sabato di settembre. Entra in negozio una signora, seguita dai due figli: il più grande ha iniziato le scuole medie; il più piccolo va in terza elementare. Non sono quindi piccolissimi, ma con un faticoso eufemismo potremmo dire che sono molto vivaci.

Mentre la madre sistema le proprie commissioni con Collega, i figli si danno alla pazza gioia, correndo in giro per tutto il negozio e maneggiando con scarsa cura tutto ciò che trovano a portata di mano.

Dopo circa cinque minuti di questo spettacolo, persino la mamma non ne può più; e sbotta.

Madre: Insomma, smettetela!

I figli si gelano di colpo e la guardano interrogativi, mentre dal laboratorio esalo un sospiro di sollievo. La madre conclude la sfuriata con una minaccia spaventosa.

Madre: Altrimenti domani non vi porto al Bennet!

Per tutto il resto del tempo i figlioletti se ne stanno buoni buoni e non recano alcun disturbo. Onore alla madre che, invece di lasciarli fare (perché, tanto, «son bambini», come capita spesso di sentire anche qui da noi), è intervenuta.
Però, certo, se il massimo della gita domenicale è il Bennet...

Il Maniaco: Gran finale (?)

È lui. È tornato. È il Maniaco. E ha in mano il suo portatile.

Mentre svanisco rapidamente nel retro, Collega si appresta ad affrontare un Maniaco poco tranquillo.
Causa di tale mancanza di tranquillità è il fatto che il laptop, da poco rimesso in ordine, ha smesso di funzionare. O, meglio: si accende, ma lo schermo resta desolatamente nero.

Maniaco: Ecché, io lo faccio aggiustare e si spacca subbito? Me lo dovete sistemare!

Collega inizia una prima ricognizione e riesce a convincere il Maniaco a lasciarci il portatile per fare un esame più approfondito, anche se il colpevole sembra già chiaro: la scheda video.

Il Maniaco protesta un po', poi se ne va, giurando e spergiurando di non aver mai fatto nulla di male al portatile, che a suo dire s'è guastato all'improvviso dall'oggi al domani.

L'analisi approfondita ci rivela quel che già sospettavamo: la scheda video integrata non funziona più. A quanto pare ha preso una scaldata poderosa che l'ha uccisa.

Il giorno dopo riportiamo la diagnosi al Maniaco, e cerchiamo di capire come sia possibile che tutto ciò sia successo. Quando lo scopriamo, ci pentiamo immediatamente di aver indagato.

Pare che il nostro prode cliente abbia continuato a usare il portatile per i suoi scopi "di intrattenimento", arrivando a usarlo anche nel letto, durante un "incontro", per avere materiale da cui trarre ispirazione. Il povero portatile è rimasto intrappolato, acceso, sotto le coperte.
Crediamo quindi che le possibilità siano soltanto due:
1) Il calore non ha potuto dissiparsi, e la scheda grafica è morta.
2) Il portatile s'è suicidato per non dover assistere allo spettacolo che si svolgeva a pochissima distanza da lui.

In ogni caso, c'è poco da fare. Alle fine il Maniaco decide di lasciarci il computer, che tanto nuovo non è, e se ne va verso il Media World più vicino alla ricerca di un nuovo portatile.


Nei giorni successivi affidiamo il laptop defunto al tecnico cui ci rivolgiamo abitualmente in questi casi per tentare un reballing della scheda video. Purtroppo, il computer muore durante l'operazione. Sipario (speriamo).

Scemo e più scemo. Tutto in uno

Agosto, giornata torrida.
S'apre la porta ed entra un elemento curioso, alla vista del quale io e Collega ci scambiamo una furtiva occhiata di insofferenza.

È un ragazzotto locale, studente di ingegneria civile, che speriamo non arrivi mai a esercitare perché ha la sagacia di un mattone e l'acume di un cubetto di porfido. Ma pensa di essere una mente brillante.

Durante i mesi estivi dà una mano nel bar accanto al nostro negozio, e proprio dalla proprietaria di quello è stato mandato da noi.

Ragazzotto: Ha detto Barista che vuole un... una... quelle da mettere nel computer. Che ci deve copiare le foto.
Collega: Una chiavetta?
Ragazzotto: Eh, certo! Oh, zio, che altro vuoi che era?
Collega (a cui già pulsa una vena sul collo): Da quanto?

Alla domanda, il ragazzotto assume uno sguardo terrorizzato. Collega gli viene in aiuto.

Collega: Da 8 giga, da 16, da 32... ne abbiamo anche da 64, anche se costano un po'.
Ragazzotto (che ha ritrovato la spavalderia): Da 8!
Collega: 8? Barista ha detto così?
Ragazzotto (ridendo forzatamente): Certo, zio! Dai, che ci ho da fare. Mica come voi che passate le giornate a fare un *****.

Collega vende la chiavetta e l'indisponente cliente se ne va.
Un minuto e diciassette secondi dopo, entra Barista.

Barista: Ciao, ragazzi! Scusate, sapevo che stavo facendo uno sbaglio a mandarlo qui.
Collega (capendo al volo): Ti serviva una chiavetta più grossa?
Barista: Quasi. Mi serviva una scheda micro SD da 32 GB. Ce l'avete?
Collega: Sì, eccola. (sghignazzando) Eppure Ragazzotto sembrava così sicuro...
Barista: Seeee... E pensare che gliel'avevo anche scritto su un post-it. Ma dice che l'ha perso.

Capisci Internet?

È una tranquilla metà pomeriggio, quando entra una cliente abituale. Da un anno e mezzo in qua si serve di noi per lo più per qualche stampa, per accedere a Internet (a casa non ha una connessione), e per qualche fotocopia.

Anche oggi non è diverso, almeno inizialmente: fa un paio di stampe, qualche fotocopia. Poi si attarda a dare un'occhiata in giro in negozio, soffermandosi sui portatili in vendita. Quindi si rivolge a Collega, che la sta osservando da dietro il bancone, in attesa di sapere se abbia bisogno di qualcosa.

Cliente: Senti...
Collega: Sì?
Cliente: Ma tu ci capisci di computer?
Collega (serissimo): No.
Cliente: Ah, beh, ok.

Twenty questions

È un pomeriggio di viavai: come esce un cliente ne entra un altro, o due. Si capisce quindi che sia io che Collega siamo entrambi impegnati, e mentre facciamo il possibile per soddisfare le persone che arrivano apparentemente a ciclo continuo ferventemente preghiamo che nessuno ci sottoponga quesiti troppo impegnativi.

Evidentemente, oggi Sant'Apollonia è in vacanza.

Entra una signora di mezz'età, dall'aspetto tranquillo. Nel senso: non sembra avere l'aria di una che è venuta qui per piantare grane. Ha tra le mani la borsa di un portatile, ma questo è normale.

Arriva il suo turno, e tutta sorridente si avvicina al bancone. Saluta giuliva, poi ci espone la questione che l'ha condotta da noi.

Cliente: «Avrei qualche domanda, perché ci sono delle cose che non capisco bene e non so come fare, per cui ho pensato che era meglio se venivo qui e chiedevo tutto direttamente a voi».

Non faccio a tempo a risponderle che ha fatto benissimo, che dalla borsa estrae un portatile e un mazzetto di fogli scritti fitti. Un bel mazzetto. Di fogli scritti fitti fitti. Inforna gli occhiali e inizia a leggere.

Cliente: «Prima domanda: "Come faccio a spostare un file dal desktop alla cartella Documenti?"»

Poi prende a guardarmi con aria interrogativa da sopra le lenti. Mentre cerco di illudermi che si tratta di uno scherzo, e la consapevolezza del fatto che in realtà non lo sia si fa strada dentro di me, entra un altro cliente. Che ignorerò, come il successivo, e quello successivo, e quello dopo ancora, e così via, perché i foglietti sono tutti pieni di domande analoghe alla prima. Domande che attendono una risposta.

Sentendo la voglia di vivere che si spegne, accendo il portatile e mi accingo a mostrarle ogni operazione. Passano così quasi due ore di domande e risposte.

Per carità: la signora è simpatica e ben disposta a imparare. Ma la mole di domande sembra non finire mai, e alla fine sono prostrato. E così pure Collega, che s'è dovuto sorbire tutti gli altri clienti cercando di fare in modo che la coda non si allunghi troppo.

Alla fine della giornata, io e Collega ci guardiamo.
Collega (con un mezzo sorriso o una paresi, non saprei bene): «Certo che la tua tizia dà tutto un significato nuovo al termine consulenza».

Tra moglie e marito non mettere il fax

È una tranquilla giornata di settembre, di quelle in cui è ancora abbastanza caldo da far credere, se non proprio che sia ancora estate, quantomeno che ci si trovi in un'insolita ma piacevole primavera.
La situazione idilliaca viene purtroppo funestata dal suono del telefono.

Cliente: Non funziona il fax!
Io (pensando: mah, strano... ne abbiamo spedito uno poco meno di mezz'ora fa. Certo, un guasto può sempre capitare): Davvero? Strano, l'abbiamo usato fino a poco fa. Mi dia un momento per controllare.
Cliente: Ma non il vostro! Il mio!

Comincia così la faticosa opera di ricostruzione dell'accaduto.
Dopo diverse domande e altrettante risposte, vengo a sapere che il Cliente in questione ha acquistato una stampante nuova, una bella multifunzione Epson a getto d'inchiostro, e ha problemi a installarla sia come stampante, sia come fax. O, meglio: per quest'ultimo pensava di sapere come fare, dato che si tratta di un'operazione che non coinvolge complicati riti al Pc. In teoria, basta collegare il filo e seguire quel che dice lo schermino della stampante. E invece picche.

Fissiamo un appuntamento e inizio a sistemare le cose.
Il Cliente decide di iniziare dall'installazione dell'apparecchio come stampante/scanner per il Pc, e qui tutto fila liscio. Anzi, il Cliente è proprio tutto contento del fatto che, collegando la stampante in WiFi, ha un filo in meno di cui preoccuparsi.

Poi viene il momento di occuparsi del fax. Scopro a questo punto che il Cliente non ha un telefono fisso: dato che ormai sia lui che la moglie usano soltanto i cellulari, quando han fatto l'ultimo abbonamento - con Fastweb - hanno pensato bene di eliminarlo, e di tenersi solo la connessione a Internet.

Un brivido mi corre lungo la schiena mentre un sospetto prende forma. Acchiappo il telefono di test che porto con me per le volte in cui l'intervento comporta anche di dare un'occhiata all'impianto telefonico, lo collego alla presa a cui è collegato il modem e... silenzio. Il silenzio più assoluto.

Chiedo al Cliente se abbia idea di che cosa comprenda il suo abbonamento, ma la domanda - come mi aspettavo - viene accolta da uno sguardo imbarazzato e nient'altro. Mentre il Cliente sparisce per cercare il contratto, o almeno l'ultima bolletta, faccio un po' di ordine, sicuro che la risposta che gli darò non appena mi avrà dato la conferma di quanto sospetto non gli piacerà.

Scartabellando un po', il Cliente riesce a ritrovare il contratto originale, dove in bella vista campeggia la scritta Joy. Per chi non lo sapesse, Joy è un tipo di contratto proposto da Fastweb qualche tempo fa e che non prevede la fonia, ma soltanto la connessione a Internet.

Armato dei fogli che il Cliente mi ha portato e del silenzio che s'ostina a uscire dalla cornetta, faccio rapporto: con un contratto di questo tipo, il fax non funziona e non funzionerà mai. Occorre variare il contratto.

L'uomo è terrorizzato, e non per il fatto che non può mandare fax. Avendo comprato la multifunzione principalmente per poter sfruttare questa caratteristica, e avendo speso una cifra che la moglie non ha digerito, ora proprio non può dirle che il fax non si potrà mai adoperare.

L'unica soluzione è telefonare a Fastweb la quale, dopo averci fatto rimbalzare tra tre call center diversi (in Albania, in Romania e in Italia) ci informa che la modifica dell'abbonamento con l'aggiunta della fonia non è possibile: l'unica strada percorribile prevede la rescissione del contatto d'abbonamento (richiesta per raccomandata), una pausetta di quindici giorni nella connettività e la stipula di un nuovo contratto che questa volta comprenda tutto quanto.

Il Cliente a questo punto si trova tra l'incudine e il martello: da un lato la prospettiva di non usare mai il suo nuovo fax, scatenando le ire funeste della moglie che tutto è tranne una dolce e remissiva casalinga d'altri tempi; dall'altro la possibilità di restare senza connessione per un paio di settimane (il tempo tra la chiusura del vecchio contratto e l'apertura del nuovo), scatenando le ire funeste della moglie che etc. etc.

Impietosito, propongo una via d'uscita: se approfittasse dell'occasione per passasse a un altro operatore sarebbe questi a occuparsi di tutto, e generalmente il cambio non comporta quelle lunghe interruzioni di servizio che Fastweb, per passare da sé stessa a sé stessa, ritiene invece indispensabili.

L'idea gli piace, ma ci deve pensare un po' su. Io, però, ormai non posso fare altro che lasciarlo a baloccarsi con questa, recuperare i miei attrezzi e fuggire il più rapidamente possibile. Perché? Perché a moglie è tornata proprio in quella dalla spesa e qualcuno dovrà spiegarle l'accaduto. Ma non sarò io.

867-5309

Antefatto


A un cliente hanno regalato una nuova stampante. Si tratta di una multifunzione laser Xerox, che fa da stampante, da scanner, da fotocopiatrice e da fax.
Dopo che il Cliente ci ha provato per giorni senza venirne a capo, vengo chiamato per installarla e, sebbene debba convincerla a lavorare con un vetusto Windows XP di cui il Cliente non si vuole disfare, dopo qualche fatica l'operazione si conclude con successo.

Il giorno dopo


Il giorno successivo è una giornata tranquillissima e ho ormai mentalmente archiviato la Xerox quando il telefono suona. Ohibò. È proprio il Cliente di ieri, il quale si lamenta con veemenza che di punto in bianco la stampante ha smesso di funzionare.
Sul bellissimo display touch che la decora, la stampante mostra un qualche messaggio d'errore ma, vuoi perché il messaggio è criptico di suo, vuoi perché la stampante ha lavorato sì e no mezza giornata prima di fermarsi e il Cliente è sull'orlo dell'infarto, vuoi perché la Luna non è allineata con Saturno, non c'è verso che riesca a farmi leggere il messaggio esatto. Così vado là.

Arrivato al capezzale della stampante vengo accolto da un nervoso Cliente che passeggia su e giù maledicendo chi gliel'ha regalata e sé stesso per averla accettata, ed è del tutto intenzionato a lanciare la povera Xerox dal balcone se dovesse emergere che il problema è qualcosa di grave.

Mi avvicino al pannello e leggo. Il messaggio iniziale è effettivamente poco chiaro.

Dice: Trattenuto per risorsa 016-910.

La cosa mi lascia un momento di sorpresa (ma chi è il genio che ha ideato un messaggio tanto oscuro?), poi continuo a leggere e raggiungo la parte inferiore della schermata.

Dice:
Risorsa richiesta
Vassoio 1, A4

Sghignazzando lievemente, apro il cassetto, inserisco una manciata di fogli e assisto al ritorno in vita della stampante.

Perché, in Xeroxese, 016-910 significa «Per piacere, aggiungi la carta, ché è finita».

Pulizia profonda

Il Cliente di oggi è un signore di mezz'età che tempo fa ha acquistato da noi un portatile usato, e fino a oggi è rimasto soddisfatto. O almeno lo presumiamo, dato che non l'abbiamo più sentito.

Ora è ricomparso, e ha sotto il braccio lo stesso portatile che gli vendemmo a suo tempo. Qualcosa avrà smesso di funzionare pensiamo mentre lo vediamo entrare e lo salutiamo.

Collega: Allora, qual è il problema?
Cliente: La tastiera: non funziona più. Io premo tutti i tasti e non succede niente.

Accendiamo il portatile, che sia avvia senza problemi. Arrivati al momento di inserire la password di Windows, però, non c'è verso di farsi obbedire dalla tastiera: nessuna pressione di tasti produce qualche risultato.

Collega: Ma è successo così, all'improvviso? O c'è stato qualche segnale prima?

Il Cliente temporeggia un po' prima di rispondere. E ciò non è mai un buon segno.

Cliente: Beh, è cominciato un paio di giorni fa...
Collega (incalzandolo): Sì?
Cliente: E il portatile era tutto sporco...
Collega: E?
Cliente: E anche mia moglie era d'accordo che andava pulito...
Collega: E?
Cliente: E allora l'ho pulito. Ho passato lo schermo, ho lucidato il coperchio...
Collega: E?
Cliente: E ho lavato la tastiera.
Collega: Eh?!

Insomma, affinché anche la tastiera fosse lucida e brillante come tutto il resto, il Cliente ci ha rovesciato sopra acqua e sapone e ha passato il tutto con la spugna. Poi ha riacceso il laptop.
Risultato? La tastiera è davvero lucida e brillante, ma anche irrimediabilmente e definitivamente defunta.

(Il lato positivo è che a essersi rovinata è stata soltanto la tastiera: il resto del portatile non ha subito danni. Per cui, una volta sostituito il pezzo danneggiato con uno nuovo, il laptop è tornato a nuova vita)

Nativi digitali? Ma anche no

Entra in negozio un ragazzino armato di laptop. A due settimane dall'inizio della scuola (andrà in terza media) deve preparare una presentazione in PowerPoint che poi la professoressa di scienze dovrà valutare. E non ha la più pallida idea di come fare.

Aiutare i ragazzini nei compiti non è un servizio che svolgiamo d'abitudine, ma la madre è una cliente abituale e ha chiesto il nostro aiuto con tanta gentilezza. In più il ragazzino in questione è generalmente gentile ed educato; non ha però alcuna passione per lo studio.

Con pazienza ci mettiamo in un angolo tranquillo del negozio e inizio a spiegargli i rudimenti, per poi accompagnarlo passo passo nella creazione della presentazione.

Dato lo scarso tempo a disposizione e il fatto che il giovine non ha alcuna dimestichezza né con PowerPoint né con l'argomento del "suo" elaborato, il risultato è che il ragazzo apre un libro da cui mi detta alcuni brani - presi con un criterio che si può definire soltanto come estremamente spannometrico - da inserire in una serie di diapositive create secondo le sue scarse, imprecise e indecise indicazioni.

Dopo la prima mezz'ora, Collega - che tra un cliente e l'altro continua a osservarci divertito da dietro il bancone - chiede come andiamo.

Io: Eh, questi "nativi digitali"... Tutti dicono che sono bravissimi a usare il computer e invece...
Ragazzino: Ah, ma io lo uso solo per vedere i video!

Il casinaro

Entra un signore anziano, che si muove a fatica con l'aiuto di un bastone. Arranca fino al bancone e si ferma davanti a Collega per riprendere fiato un momento.

Cliente: Mi può aiutare? Ho il computer in macchina, ma non ce la faccio a portarlo.
Collega: Certo, arrivo subito.

Cliente e Collega spariscono fuori dalla porta, da cui riemergono poco dopo. Collega regge amorevolmente tra le braccia un Pc desktop in stato pietoso: le mascherine anteriori mancano, la copertura laterale del tower manca e tutti i cavi penzolano all'esterno. E, a un'occhiata più approfondita, notiamo che ci sono dei cavi in più, collegati in maniera apparentemente casuale.

Il povero Pc, dopo il primo e veloce esame, viene momentaneamente accantonato sul bancone ed entrambi guardiamo interrogativamente il Cliente, in attesa di una spiegazione.

Cliente: Ho staccato un po' di fili e adesso non so più dove metterli. Me li sistema?


Rolando!

È un lento, noioso e caldo pomeriggio, quando suona il telefono.

Sconosciuta di una certa età (con un tono tutto allegro): Rolando!
Io (colto alla sprovvista): Ehm, no sign...

Non riesco a interromperla, perché è un fiume in piena.

Sconosciuta: Ma quanto tempo che non ci sentiamo e adesso finalmente ti ho telefonato perché ti devo raccontare di quello che è successo blablabla yaddayaddayadda bangallabangallabangallabangal...

Quando si ferma per respirare, provo a intervenire

Io (col tono più educato possibile): Signora, io non sono Rolando.
Sconosciuta (interdetta): Come no?
Io:  Eh, deve aver sbagliato numero...
Sconosciuta: Ma ho sempre usato questo numero... Forse ha cambiato lei... Mah, grazie e mi scusi. Clic.
E riappende.

La signora, in effetti, ha ragione. Abbiamo davvero cambiato il numero di telefono. Nel 2000.

Surfin' WiFi

Suona il telefono. È uno dei nostri clienti abituali, quello di cui abbiamo già parlato in Io amo la mia idea. Ed è disperato.

Cliente (*sull'orlo di una crisi di pianto*): Non ci sono più le ondine!
Io (*pensando: alé, è andato, s'è bevuto il cervello*): Uh... Buon pomeriggio. Che ondine?
Cliente: Le ondine del modem bianco! Per cui la televisione non va più!

Allora - penso. Il Cliente possiede effettivamente un router bianco, che a quanto ricordo già da qualche tempo consideravamo con sospetto: la plastica nella parte superiore aveva infatti iniziato ad assumere un malsano colore giallastro, sintomo di surriscaldamento dell'elettronica sottostante. Ma il Cliente non ci ha mai permesso di investigare, secondo il principio per cui "finché va...". Probabilmente ha tirato le cuoia, considerato anche il caldo infernale che fa in questi giorni. Ma che c'entra il televisore? E soprattutto: che sono le ondine?
Boh, facciamo un tentativo.

Io: Momento... Mi sta dicendo che il router non funziona? Non c'è più la connessione a Internet in casa?
Cliente: Sì! No! Solo quella con le ondine! Il computer va!

Ed ecco l'illuminazione: il computer, ossia il desktop sito a 30 cm dal router, al quale è connesso da un breve ma glorioso Cat 5, ha ancora la connessione. Perché sono le ondine a non andare più: è morto il WiFi.
Ancora non capisco che cosa c'entri il televisore, ma pazienza.
Mi armo con un router di ricambio, nella speranza che sia finalmente la volta buona che sostituiamo quello originario, e vado dal Cliente.

Mi porta al capezzale del povero router, tutto bianco meno una grossa macchia color olio di piedi di bue che - sono sicuro - l'ultima volta in cui son stato qui non era così grossa né dall'aspetto così malsano. Qualche rapida verifica e l'ipotesi trova conferma: la parte WiFi è defunta.

Io: Non c'è che da cambiarlo. Anche perché il resto probabilmente seguirà a breve.
Cliente: Eh, ma il computer va... Non si può proprio fare niente?
Io: Guardi, la cosa migliore è sostituirlo. Come ho già detto, il router è ormai più di là che di qua, e non c'è garanzia che possa andare avanti ancora a lungo. Inoltre, stando così le cose, non c'è modo di avere il WiFi.

Il cliente ci pensa su.

Cliente: E quindi non posso vedere la televisione.

Sono lì che penso Ma ancora 'sto cavolo di televisore? che finalmente l'arcano mi viene chiarito. Il vecchio televisore a tubo catodico, pur dignitoso, è stato sostituito da una Smart TV, che si può collegare a Internet e con la quale il Cliente si diverte a godersi i programmi di RaiPlay ed equivalenti. Ma, a meno di voler far passare un cavo dal piano di sopra a quello di sotto, il televisore ha bisogno delle ondine.

Decido di giocare il tutto per tutto, perché la cosa sta andando per le lunghe e il tizio non si decide per l'unica soluzione praticabile, ossia cambiare il router (di cui ho, peraltro, già in mano il successore).

Io: Beh, si può tirare un cavo fino al televisore. Cerchiamo un tubo poco occupato, oppure facciamo qualche buco nei muri...

All'idea dei suoi muri traforati per far passare il cavo - e, credo io, all'idea di dover pagare per il lavoro - il Cliente rinsavisce.

Cliente: No, no, niente buchi. Allora prendo il router nuovo. *Pausa. Sospiro* Se proprio quello vecchio non va più bene...



Il Maniaco colpisce ancora

Terza (e per ora ultima) parte della dolorosa (per noi) storia del Maniaco.

Avevamo lasciato il nostro "eroe" più ricco di un portatile nuovamente funzionante nonché in grado di connettersi alla rete WiFi domestica, ma in tutto questo ci siamo dimenticati di accennare a un particolare.

Prima che procedessimo alla reinstallazione di Windows, il Maniaco ci aveva gentilmente chiesto di installare sul nuovo sistema anche il software per l'aggiornamento del suo TomTom, un modello che, per età, è l'equivalente informatico del Maniaco stesso.
L'operazione ci sembrava priva di ogni rischio, e così abbiamo acconsentito. Sapendo che però TomTom chiede di indicare un account o di effettuare la registrazione, ci siamo informati sull'eventuale esistenza delle informazioni necessarie.

Abbiamo così scoperto che non solo il Maniaco non aveva mai aggiornato il TomTom in vita sua, e che pertanto non era titolare di alcun account, ma anche che - a suo dire - non possedeva neppure un indirizzo email.

Collega: Quindi lei non ha nemmeno un indirizzo email?
Maniaco: Ennò... Noll'ho mai usato, mai voluto, ne sso nniente.

La cosa ci pare alquanto strana, considerata l'attività che principalmente costui conduce col portatile, ma ci fidiamo della sua parola e soprassediamo. Lo informiamo quindi che creeremo un account email per lui, e poi gli forniremo tutti i dati. La proposta sembra soddisfarlo.

Passa il momento della restituzione del portatile, passa la delicata questione del WiFi spento, e il Maniaco rispunta. Stavolta, però, per telefono.

Maniaco: L'email che mm'avete fatto... Noffunziona!
Collega: Come "non funziona"?
Maniaco: Che io metto la scritta che mm'avete dato e mi dice che non c'è.

Dopo una piccola indagine capiamo che Google (gli avevamo creato un account Gmail) gli sta dicendo che il suo account non esiste. Eppure siamo stati bene attenti a creare una roba semplice, facile da memorizzare e  digitare, del tipo ilmaniaco@gmail.com (dove, naturalmente, al posto di ilmaniaco ci sono nome e cognome del suddetto). Il guaio è che il Maniaco crede più a Google che a noi, e quindi s'è convinto che l'indirizzo che gli diciamo di aver creato per lui non esista.

Per risolvere l'impasse, il Maniaco decide di venirci a trovare. Arriva, inveisce, gli dimostriamo che sul Pc del negozio l'accesso all'account funziona perfettamente, resta un momento interdetto, se ne va. Poi torna col portatile.

Maniaco: Ma qui non va!

Proviamo. Ovviamente "va": l'account c'è e funziona, proprio come dovrebbe fare.
A questo punto ci coglie il dubbio.

Collega: Provi lei ad accedere.

Il Maniaco estrae il foglietto su cui gli avevamo segnato indirizzo email e password, inforca gli occhiali e inizia lentamente a digitare:

i elle emme a enne i a ci o spazio chiocciola...

Collega: Un momento! Lo spazio non ci va!
Maniaco: Eccomenò? Ma qui c'è.

Effettivamente, la @ non è immediatamente attaccata alla o, ma c'è uno spazio di due o tre picometri che, a un occhio allenato a concentrarsi su altri particolari, potrebbe sembrare un carattere da digitare. Ma non lo è.
Il Maniaco prova a digitare l'indirizzo senza spazio e - meraviglia! - tutto funziona. Si illumina, si rallegra, poi si rabbuia nuovamente.

Maniaco: Però l'altro lo potevate usare!
Io e Collega (in coro): L'altro?
Maniaco: Sì, l'altro email. IoSonoIlManiaco@provideritaliano.it
Collega: Ma lei ci aveva detto di non avere un indirizzo email!
Maniaco: Seeeeeee, emmò! E come faccio sennò? Che ogni tanto bisogna pure usarlo, no? Ehehehehe.

Ci fa l'occhiolino, raccoglie le sue cose e se ne va. A oggi, ancora non è tornato. Speriamo continui così.

Il ritorno del Maniaco

Una reinstallazione dopo, il portatile del Maniaco è tornato in piena efficienza. Lo riconsegniamo e cerchiamo di scordarci in fretta di tutta la faccenda, arginando i subdoli tentativi che le nostre menti mettono in atto per farci immaginare l'utilizzo del povero laptop.

Poi il Maniaco torna.

Entra un paio di giorni dopo aver ricevuto indietro il suo portatile, e non è contento. Perché non è contento? È semplicissimo:

Maniaco (concitato): Ecchè la scala ci ha sempre il puntino rosso, e prima non c'era che mi partiva tutto un meccanismo che poi va Internet. E adesso non va.

Lo fissiamo senza capire. E lui che ci ripete che la scala ci ha sempre il puntino rosso e che Internet non va e che sicuramente è il meccanismo che s'è 'nceppato.

Impossibilitati a trarre un senso non dico informatico ma quantomeno italiano da quello sproloquio, accendiamo il portatile per farci indicare dove stia il problema. E tutto diventa immediatamente chiaro.

La scala altro non è che l'icona che Windows usa per indicare la potenza del segnale della rete WiFi, e il puntino rosso è la x rossa che appare su detta icona quando la rete WiFi è disabilitata.

Un rapido valzer di tasti dopo il WiFi è nuovamente abilitato e il laptop può connettersi alla rete wireless del negozio. Sulla scala, il puntino rosso non c'è più.

Il Maniaco è dubbioso, ma di fronte all'evidenza non può che capitolare. Gli spieghiamo come non disattivare accidentalmente il WiFi, e per il momento ce ne liberiamo. (continua)

Il Maniaco

Entra in negozio un signore visibilmente di una certa età: non decrepito, ma certamente nel pieno di quella che si può definire "terza età".

Ha in mano un grosso portatile - con un bello schermo da 17 pollici - non proprio recentissimo, che da qualche tempo ha iniziato a fare le bizze. E al Cliente il portatile è indispensabile.

Cliente: Perché *ammicca e ridacchia* alla mia età... quando si è da soli...

Lo guardiamo vagamente interdetti.

C: No, dico... a stare da soli... ogni tanto bisogna pure usarlo! Eheheheh...

Tralasciamo i dettagli dell'imbarazzante e frammentaria conversazione che è seguita, ma alla fine una cosa è risultata chiara: all'uomo serve che il portatile torni in perfetta efficienza, e con una certa urgenza. Infatti lo usa per trovare signore - diciamo così - disponibili, che gli permettano di "fare esercizio" e sfogare quegli istinti che, nonostante l'età, sono tutt'altro che assopiti. O così ci assicura, e preferiamo non indagare oltre. Abbiamo già ricevuto più informazioni di quelle che avremmo desiderato.

Una rapida ricognizione sul portatile ci rivela che non c'è niente di guasto: è solo Windows 7, in funzione da un po', a non essere più tanto arzillo, a differenza del proprietario.

Gli assicuriamo che in un paio di giorni al massimo (ormai è sera, metti mai che domani ci sia un imprevisto... facciamo dopodomani) il suo portatile tornerà scattante.

C: Ah, meno male! Perché, alla mia età, da soli... Ci ho proprio bisogno, ogni tanto! Non sempre eh! Ma un paio di volte la settimana...

E su quest'ultima osservazione se ne va, augurandoci buona serata.

Collega: Beh, sembra un po' un maniaco, ma arrivarci alla sua età con tanta... ehm... joie de vivre!

(continua)

L'utonto nascosto

Vengo chiamato al capezzale di una stampante. La poverina non è guasta, non dà problemi, non è vecchia come il cucco; anzi, è nuova: però sta rischiando la disintegrazione, perché la proprietaria non riesce a installarla e ormai è sull'orlo di una crisi di nervi.

Dopo le verifiche di rito, l'arcano si svela: la Cliente cerca di installare la stampante sotto Windows 7 e per questa sua sciagurata decisione riceve dal software di installazione soltanto un generico messaggio d'errore. La stampante infatti vuole soltanto Windows 8 o superiori, come spiegato in un angolo nascosto, e in carattere minuscolo, delle istruzioni. In più vuole collegarla in WiFi, ché non ha - chissà perché - alcuna passione per i cavi Usb.
La cosa si rivela tosta, ma lavorando un po' sui driver e forzando un po' la mano, complice il fatto che il computer è di una lentezza mostruosa dopo appena un'ora e mezza di lavoro la stampante è collegata alla rete WiFi e funziona perfino.
In tutto questo la Cliente s'è dimostrata, per quanto in generale a digiuno di cose informatiche, attenta e brava: non si merita la qualifica di utonta.

Due giorni dopo, la Cliente chiama. La stampante non funziona più.

Raggiungo la casa e scopro l'arcano: se avessimo usato il software di installazione, questo avrebbe fatto in modo di aggiornare sempre il collegamento tra Pc e stampante anche quando il server Dhcp del router avesse cambiato l'indirizzo alla stampante; ma per i motivi esposti sopra non abbiamo potuto usare il software, e quindi devo mostrare alla Cliente che cosa fare quando l'indirizzo cambia.
In tutto questo, il rifiuto di usare il cavo Usb è assoluto, ma per il resto la Cliente continua a lasciare un'impressione positiva.

Due giorni dopo, la Cliente chiama.

Ha ottenuto da parenti un portatile quasi nuovo, un Lenovo che - mirabile dictu - monta Windows 10. E naturalmente vuole che le installi la stampante.

«Facile» penso. «Stavolta basta usare il Cd»

In effetti la stampante s'installa senza problemi, ma durante l'installazione del software aggiuntivo vengo chiamato per un'emergenza. Lascio detto che cosa fare alla Cliente (Avanti - Avanti - Avanti - Riavvia) e me ne parto, sicuro che ormai la telenovela sia finita.

Venti minuti dopo che sono uscito, la Cliente chiama.

La stampante, pur collegata in WiFi e inizialmente vista correttamente dal Lenovo, non vuol saperne di funzionare. Concludo con l'emergenza (rivelatasi tutto sommato una cosa veloce) e torno sui miei passi.
Guardo, controllo, misuro, verifico... poi l'illuminazione.

«Ha riavviato dopo la fine dell'installazione?»
«No. Ho visto che alla fine diceva di riavviare, ma non pensavo servisse anche quello»
Riavvio. La stampante funziona a meraviglia.

Morale? Mai sottovalutare il piccolo utonto che si nasconde in ogni cliente.

Il paragnosta

Telefona un cliente abituale, uno di quelli a cui piace fornirci simultaneamente sintomi, diagnosi e prognosi. Gli basta guardare un computer e immediatamente capisce che cosa c'è che non va. O, almeno, sembra esserne convinto.

Convenevoli di rito, poi il cliente ci spiega che da qualche tempo in qua il suo PC desktop (vecchiotto, a dire la verità) ha iniziato ad avere strani comportamenti: non si accende sempre, per esempio, e ogni tanto si spegne di botto.

Cliente: E quindi per me è l'alimentatore. Ve lo porto, così lo controllate e vedete che è quello.
Collega (con infinita pazienza): È possibile che sia l'alimentatore, ma potrebbe anche essere qualcos'altro. È meglio se ci porta tutto il PC.
Cliente: Ma no, è di sicuro l'alimentatore. Lo smonto e vi porto solo quello. È più facile. (!)
Collega (che conosce il tipo, e non demorde): Ma se per qualche strano motivo non fosse l'alimentatore? Dovrebbe tornare indietro a prendere anche il resto... Se ci porta tutto subito fa un viaggio solo.

L'opera di convincimento va avanti per un po', poi il cliente sembra cedere.

Cliente: Va bene. Passo prima di sera.

La giornata trascorre tranquilla e l'ora di chiusura ormai s'approssima, quando il cliente appare alla porta. Saluta giulivo e solleva la mano destra, in cui tiene un sacchetto. Un sacchetto troppo piccolo per contenere un PC desktop (ammesso che qualcuno si porti in giro il computer in un sacchetto di plastica).

Cliente: Ho pensato che tanto, siccome è l'alimentatore, era meglio portare solo quello.



[La conclusione della storia? La colpa era della scheda madre ormai moribonda la quale, poco dopo essere finalmente stata affidata alle nostre amorevoli ma ahimè inutili cure, ha esalato beata l'ultimo respiro, iniziando il viaggio verso il Valhalla delle schede madri]

Formattalo... ma non troppo

Riconsegno un portatile che ho dovuto formattare, e sul quale ho reinstallato Windows dopo essermi assicurato che la proprietaria avesse una copia di tutti i dati.
Il lavoro fila liscio e la ragazza è contentissima di avere nuovamente un computer funzionante anziché l'ingombrante fermacarte con cui aveva dovuto convivere negli ultimi tempi.

Torno alla base, e il cellulare prende a suonare. Ohibò, è lei. Che sarà successo in questi dieci minuti da spingerla a richiamarmi?

Cliente: Ciao, sì, scusa, ho una domanda... Il portatile... Non si connette alla rete WiFi.
Io: Strano: qui funzionava bene.
Cliente: Ma senti... potrebbe essere che si è resettata la password?
Io (*con un improvviso lampo di comprensione, e tanta rassegnazione*): Beh, sai, l'abbiamo formattato... Tutto quello che c'era è andato perso: infatti ti ho fatto salvare tutti i dati prima di procedere.
Cliente: Ah, ma io pensavo che se formattavi cancellavi solo i dati, ma la password restava!
Io: No, se ne va proprio tutto.
Cliente: Vabbè, allora la rimetto.

L'onestà non paga mai

Di tanto in tanto qualche cliente ci lascia un vecchio computer in conto vendita. In questi casi mettiamo anche qualche annuncio online, nella speranza di velocizzare il reperimento di un compratore.

Il portatile protagonista di questa storia è in sé in ordine, ma la batteria dura cinque-minuti-cinque, il processore non è esattamente un fulmine di guerra (anche se non è scarso come quello del Macinino), la RAM ammonta a 4 GB. Tutto chiaramente indicato nell'annuncio.

Telefona un tizio che s'informa sulle caratteristiche del portatile, ossia si fa ripetere a voce tutto quello che ha già letto online, e che sembra abbastanza interessato. Quel che gli piace poco è il prezzo, ma possiamo venirgli incontro. Ci mettiamo d'accordo affinché passi in negozio a verificare di persona la bontà di quanto pubblicizzato.

Il tizio arriva, e sembra un tranquillo signore di mezz'età. Poi apre bocca.

Cliente: Ma la memoria... Sono davvero solo 4 giga?
Io: Sì, come specificato.

Il cliente sembra perplesso, ma non demorde.

Cliente: E il processore... è davvero quel processore lì?
Io: Sì, come c'è scritto.

Il cliente è ancora più perplesso e, onestamente, a questo punto lo sono anch'io, ma dubito che il motivo sia il medesimo.

Cliente: E la batteria... dura davvero cinque minuti?
Io (pensando: ma che accidenti non ha capito, questo?): Sì; secondo più, secondo meno...
Cliente (con aria scandalizzata): Ma allora è proprio come scritto nell'annuncio!
Io (ormai completamente perso): Beh, certo!
Cliente: Ma allora non mi interessa!

E se ne va.

Io amo la mia idea

Tra i tanti tipi strani che serviamo ce n'è uno che non è nemmeno tanto male. È ansioso di imparare, si applica, si segna tutto quello che gli diciamo... solo che nella sua testa le informazioni non sembrano essere conservate in un ordine specifico, ma piuttosto tutte insieme alla rinfusa. Come se nel suo cervello ci fosse un black friday permanente, con le idee che si calpestano e scavalcano a vicenda, indifferenti l'una al destino dell'altra nella corsa per riuscire ad emergere.
Il suo vero problema è però un altro: avendo negli anni accumulato una discreta massa di nozioni sul funzionamento dei PC, seppur senz'alcun ordine, quando si presenta un problema di qualsiasi tipo prova a formulare una diagnosi. Il guaio è che, indipendentemente dalla correttezza, a detta diagnosi  si affeziona e, se anche si rivela errata, gli spiace lasciarla perdere.

Ci chiama per un intervento a domicilio: il computer è diventato lento - ci dice - ma soprattutto fa un brutto rumore all'accensione, rumore che sparisce dopo qualche secondo salvo ripresentarsi all'accensione successiva. «Forse è il disco rigido» ipotizza.
Raggiungo l'abitazione, accendo il PC e dal suono che odo capisco subito che si tratta di una ventola che gira male. Sento inoltre che la velocità della ventola accelera subito e si mantiene alta, e vedo che la temperatura della CPU è un po' troppo elevata.
Apro il case e do un'occhiata a quella del processore: tra la ventola e il dissipatore c'è uno spesso tappetino di polvere, tanto spesso che, durante l'avvio, riesce a sbilanciare la ventola quel tanto che basta da farle emettere un suono poco piacevole. Poi la polvere si riassesta, e il rumore sparisce fino alla volta successiva.
Spiego la situazione.

Cliente: Ah, credevo fosse il disco.
Io: No, il rumore proviene certamente dalla ventola. Adesso la pulisco.
Cliente: No, perché se fosse il stato il disco avrei dovuto cambiarlo.
Io: Già, ma per fortuna è la ventola.
Cliente: Ma come ha fatto a riempirsi di polvere così?

Gli spiego come, dopo sette anni di funzionamento, è facile che qualche schifezza vada a insediarsi lì.

Cliente: Ok. Allora, che cosa si può fare?
Io: Adesso la pulisco, e anche il rumore di aspirapolvere che il computer emette quando è in funzione calerà, perché la ventola poi potrà fare il proprio lavoro senza dover girare a velocità folli e il processore eviterà di surriscaldarsi: in effetti quando l'abbiamo acceso la temperatura era un po' altina.
Cliente: Quindi non c'è nient'altro da fare che cambiare il disco rigido?

A questo punto devo aver fatto una brutta faccia, perché mi ha fissato per un po', ossia finché non ho trovato il coraggio di ribattere.
Io: No, è la ventola. Ora la pulisco.

Pulita la ventola, il rumore è scomparso, e anche la velocità durante il funzionamento del PC è tornata alla normalità.

Ci salutiamo. Vado verso la porta. Metto la mano sul cancelletto.

Cliente: Allora non era proprio il disco rigido, eh?

Pausa (anche noi andiamo in ferie)


Il blog si prende un paio di settimane di pausa,
giusto il tempo di fare un po' di ferie.

Gli aggiornamenti riprenderanno il 18 luglio e, almeno per il periodo estivo, saranno soltanto una volta alla settimana (il martedì).

Più veloce della luce. O almeno del PC.

Dopo aver accuratamente parcheggiato in sosta vietata, meno di un minuto dopo l'apertura pomeridiana entra in negozio una signora tutta trafelata che conosciamo per essere - ehm - poco brillante ma al tempo stesso esigente. Una di quelle persone che pretendono che uno capisca quello che vogliono senza che loro debbano prendersi la briga di spiegarsi.

I saluti sono, evidentemente, opzionali.

Cliente: Ti ho mandato una mail. Me l'hai già stampata?
Collega: No. Abbiamo aperto adesso.
Cliente (*d'un fiato*): No perché se guardi vedi che è arrivata e a me serve subito perché ho parcheggiato lì ma tanto devo andare via subito allora c'è?
Collega (*che conosce la tizia e resta imperturbabile*): Qui non c'è niente.
Cliente (*con aria di impaziente sufficienza*): Ma sei sicuro? Hai guardato bene?

Per scrupolo, Collega guarda anche nello spam, aspetta un po', forza il controllo della posta... niente.

Collega: Mi spiace, ma a me non è arrivato niente.
Cliente (*seccata*): Ma non è possibile!

Poi d'improvviso ha come un'illuminazione.

Cliente: A meno che... vuoi vedere che il computer non ha fatto in tempo?

Ai nostri sguardi interrogativi, la cliente fornisce una spiegazione.

Cliente: Sì, perché dovevo uscire di corsa e allora ho schiacciato Invia ma poi ho chiuso subito la finestra e ho spento e sono venuta qui perché mi serve subito.

...parcheggiando dove non si può e correndo dentro non appena abbiamo aperto la porta, aggiungo io mentalmente, ma senza controllare se l'email (importantissima e urgentissima) fosse stata effettivamente spedita...

Collega: Può darsi che sia stata troppo veloce... In generale, è sempre meglio controllare che la mail sia stata spedita.
Cliente: Ah, vabbè... allora la rimando e ripasso stasera o domani.

Ciò detto, se ne va al piccolo trotto.

Collega (*rivolto a me*): E meno male che le serviva subito...

Password? Quale password?

Gli impiegati che costellano la cornice del monitor con post-it sui quali sono scritte in bella vista le credenziali per accedere a conti bancari, informazioni sanitarie, piani assicurativi - e naturalmente al PC - sono ormai una vista così frequente da essere diventati un luogo comune.
La segretaria della piccola azienda presso cui mi trovo a fare assistenza tuttavia adotta un sistema tutto suo.
Tanto per cominciare, aborrisce i post-it sullo schermo: sostiene che «fanno disordine». Di conseguenza, ha ricoperto l'intera cornice con delle strisce di scotch di carta, sulle quali scrive a penna o pennarello le password e i nomi utente che maggiormente le interessano. In questo modo lo schermo resta ordinato.
Dato che però di tanto in tanto le password cambiano, per evitare di dover rimuovere l'intera striscia l'intraprendente signorina si ingegna ogni volta per rimuovere soltanto la sezione di nastro che contiene l'informazione ormai superata, e la sostituisce con una nuova sezione sulla quale provvederà poi a scrivere la nuova password. Il risultato è uno schermo che sembra sbucare da una coperta patchwork.

Il peggio però non è questo.

Il fatto è che la segretaria in questione ha un rapporto quantomeno conflittuale con ogni attrezzatura informatica, e possiede anche la capacità di dimenticare all'istante qualunque password o credenziale. Il che potrebbe essere positivo qualora venisse rapita, quantomeno dal punto di vista della sicurezza della ditta, ma è estremamente scomodo in qualunque altra situazione.
In conseguenza di ciò, le strisce intorno allo schermo sono sì essenziali ma non sono l'unico ausilio utilizzato: c'è infatti anche un corposo bloc-notes su cui la signorina s'è diligentemente annotata ogni informazione utile, tra cui ovviamente anche tutte le password.
Si rassegnino tuttavia i malintenzionati: raccapezzarsi tra i fogli del bloc-notes, che sembrano non avere mai fine e non paiono scritti secondo alcuna logica umana, è un compito impossibile. Pazienza, si potrebbe obiettare. Basta leggere la password sullo scotch intorno allo schermo.
Ma nemmeno questo è possibile, o quantomeno non è agile, poiché la segretaria deve usare un alfabeto tutto suo, che ha una certa innegabile somiglianza con quello latino eppure se ne differenzia in maniera sostanziale.

Risultato? Ogni volta che devo intervenire sul suo computer sono comunque obbligato a chiedere a lei qualsiasi password mi serva, sebbene in teoria essa sia scritta in almeno due posti a portata di occhi e di mano. Finché sono password che usa spesso, ce la si cava in fretta: non se le ricorda, ma sa dove le ha scritte. In caso siano password da lei usate raramente, invece, di solito le cose vanno così:

Io: Ok, adesso avrei bisogno della password di accesso.
Segretaria *guardandomi persa* : Uh, dev'essere quella lì... Momento. * inizia a scartabellare nel blocco* Forse è $password1?
Io *digito $password1, che ovviamente non viene accettata* : No, riproviamo.
S *dopo aver scartabellato un altro po'* : Allora... $password2!
Io *digito $password2, con lo stesso risultato di prima* : Neanche.

A questo punto la segretaria è persa... Passa qualche minuto a guardare alternativamente lo schermo, poi il blocco, poi ancora lo schermo, poi si decide.

S: Chiamo.

A quel punto afferra il telefono e chiama il dipendente che ha, secondo lei, la maggiore probabilità di conoscere una delle sue password. Non sempre il primo tentativo è fruttuoso, ma la segretaria non demorde mai, e alla fine ottiene sempre ciò che vuole.

Solo un dubbio le resta: per qualche motivo, gli interventi presso il suo computer richiedono sempre molto più tempo rispetto a quelli eseguiti sul computer di altri. E non si capacita proprio del perché.

Tick tock goes the clock

Non sempre gli avvenimenti strani o buffi di cui siamo testimoni hanno a che fare con l'informatica, o con qualcuno dei servizi che offriamo.

È un tranquillo e caldo pomeriggio quando un bambino di una dozzina d'anni - non uno sconosciuto, ma un ragazzino del paese che altre volte abbiamo visto e col quale abbiamo conversato - mette dentro la testa in negozio.

Bambino: Scusate, sapete che ore sono?
Io: Le cinque e dieci.
B (esterrefatto e apparentemente terrorizzato): Oh mio Dio!
E corre via.

Collega, che ha assistito alla scena dalla porta che dà sul retro, mi guarda perplesso.
Collega: Ma era vero?

Il Macinino

Abbiamo in vetrina un laptop usato, internamente ed esternamente in ottime condizioni, che tuttavia abbiamo soprannominato Il Macinino.

Il motivo del soprannome è la dotazione hardware, e in particolare il processore: si tratta di un AMD V140, in sostanza un Sempron d'antan, che già nei suoi giorni migliori non faceva certo gridare al miracolo quanto a prestazioni.

Il bell'aspetto del portatile fa però sì che un discreto numero di clienti ne resti affascinato, salvo poi deprimersi quando si accorgono che un portatile usato, e con un processore già scarso ai suoi tempi, non riesce a stare alla pari con un portatile moderno.

Una bella mattina entra un tutto sommato giovane cliente in cerca di un portatile usato senza troppe pretese, e adocchia immediatamente il Macinino. Ci chiede come sia e, onestamente, gli rispondiamo che è adatto solo a lavori leggeri: non per niente lo chiamiamo il Macinino.

Accendiamo il laptop, e il cliente lo testa per un po'. Alla fine se ne va, dicendo che per le sue esigenze è troppo scarso.

Lo vediamo però tornare nel pomeriggio.
Cliente: Il portatile che ho provato stamattina, quello che faceva schifo... c'è ancora?
Io: Sì, è lì.
C: Perché... quanto viene?
Io: $cifra.
C (iniziando a parlottare come se si stesse consigliando con qualcuno) : Non è tanto caro. Sì, però fa schifo... Ma costa poco! Però... *si rivolge a me* Com'è che lo chiamate?
Io (un po' in apprensione per la scissione di personalità cui sto assistendo): Il Macinino.
C (riprendendo il discorso con l'altro sé): Ecco - vedi? - già lo dicono loro...

Ci pensa su ancora un po', bofonchiando cose che non capisco né voglio capire.

C: D'accordo. Lo prendiamo.

Lievemente allarmato, e senza perdere d'occhio il cliente, preparo il portatile per il viaggio.
Se ne vanno soddisfatti tutti e tre: il cliente, il Macinino, e l'essere sicuramente demoniaco che ne condivide il corpo. Ma non è ancora finita.

** due giorni dopo **

Il cliente si riaffaccia alla porta.
C: Il portatile che mi avete venduto...
Io: Sì?
C: È un macinino!

Io (rivolto a Collega): Ma va?

Allora premo 1?

La diffusione della tecnologia fa sì che gli utenti strani, difficili o semplicemente di coccio che incontriamo nel corso del nostro lavoro, sia che vengano essi in negozio o che ci si rechi noi presso di loro, siano in realtà dappertutto.

Mi trovo in un piccolo ufficio postale per sbrigare alcune commissioni, e quando entro l'unica impiegata sta servendo una signora piuttosto giovane (sicuramente meno di 40 anni) che sta tentando di pagare un bollettino.
Dall'espressione dell'impiegata, che ricorda quella che io e collega finiamo con l'assumere quando ci toccano certi clienti, capisco che la cosa sta andando avanti da un po' e che il percorso sin qui fatto non è stato facile.
Ad ogni modo, quando arrivo io l'interazione è alle ultime battute: si tratta soltanto di pagare.

Impiegata: Sono 9 euro e 47.

La donna apre la borsa, armeggia un po', estrae il portafogli, armeggia un po', apre lo scomparto delle monete, armeggia un po', estrae un numero esagerato di cerchietti metallici il cui valore complessivo è certamente di parecchio inferiore alla somma richiesta, armeggia un po', apre lo scomparto delle banconote, le guarda schifate, richiude il portafogli, lo riapre, estrae la tessera del bancomat e infine la sventola, con sguardo interrogativo, davanti agli occhi della povera impiegata.

Questa, con un faticoso sorriso che somiglia più a una paresi, allunga il braccio e indica con la mano il POS. La cliente fa scorrere gli occhi lungo il braccio dell'impiegata partendo dalla spalla, arriva alla mano, indugia qualche istante; poi procede a voltare la testa di quei pochi gradi che le permettono di notare che, a circa dieci centimetri dopo la fine della punta delle dita dell'impiegata, oltre il vetro, c'è il lettore in cui deve infilare la tessera.

La tessera viene infilata, l'impiegata abilita la transazione, quindi invita:
Impiegata: Prego, può inserire il PIN.
Cliente: Eh?
I (con l'espressione di chi attende al ristorante da un'ora, vede finalmente arrivare il cameriere con i piatti che ha ordinato ma scopre con orrore che sono per il tavolo a fianco): Il PIN. Può inserirlo.
C: Allora premo 1?
I: No, il PI... Il codice.
C: Ah, il codice!

Digita il PIN il codice.

I: Ora prema il tasto verde, per favore.
La donna guarda smarrita la tastiera.
C: Allora premo 1?
I (ormai priva di qualsiasi vitalità): No... Il tasto verde. È in basso a destra... ed è verde.

Seppur titubante, in pochi secondi la donna individua l'elusivo pulsante e lo preme come se all'improvviso esso volesse animarsi e morderle il polpastrello.

C:  E adesso premo 1?
I (che finalmente ha ceduto e ha indossato l'espressione Ma questa è tutta scema): No! *si rende conto di essere stata un po' troppo diretta, e prosegue con tono più dolce* No... Adesso le do la ricevuta. Ecco fatto. A posto, buona giornata.

La donna raccatta le sue cose, fa un vago gesto con la mano, caracolla verso la porta.
Sipario.

Formatta tutto! Anche lo schermo!

È una bella mattina di fine primavera quando mette la testa in negozio in negozio un tizio che sul momento non riconosco. Collega però se lo ricorda: un annetto fa è venuto ad acquistare un PC desktop. L'acquisto gli è rimasto in mente perché l'uomo aveva bisogno anche di uno schermo ma, dato che non voleva spendere troppo, gli abbiamo lasciato uno di quelli di seconda, terza o quarta mano che abbiamo nel retro.

Tizio (gesticolando concitato genericamente in direzione della postazione PC del negozio): Devo portarti indietro quello lì; passo dopo.

Collega non fa in tempo a rispondere che il tizio ha richiuso la porta ed è già scomparso lungo la via. Dai gesti poco chiari e dalle poche parole indirizzateci immaginiamo che ci voglia portare il computer perché qualcosa non funziona: dopotutto, è quello che la maggior parte dei clienti viene a fare da noi.

Nel pomeriggio, il tizio torna, e ha con sé il monitor soltanto. Ah, ecco: ci restituisce lo schermo. Magari ne ha preso uno nuovo e più bello: dopotutto, quello non era un granché.

Dopo qualche velocissimo convenevole (quest'uomo è sempre di corsa), Tizio abbandona il monitor sul bancone e fa per andarsene ma, quand'è ormai giunto alla porta, si ferma come colto da un pensiero improvviso. Afferra la maniglia con una mano e, mezzo voltato verso di noi, fa:

T: Però puliscilo bene, eh! Formatta tutto, ché non voglio che esce il mio nome se lo dai a qualcun altro!

E, in un lampo, è sparito di nuovo.

Appena realizziamo quello che è successo, un dubbio fa in tempo a coglierci: dobbiamo chiamarlo e chiarirgli la differenza tra computer e schermo, o lasciare le cose come stanno?
Un microsecondo dopo, il dubbio si scioglie al caldo sole degli ultimi giorni di maggio.

Sono quattordici pagine. Doppie.

Tra gli altri servizi, il negozio offre anche la possibilità di consultare la propria casella email e stampare i propri file.
Entra una signora con una chiavetta, e dice che deve stampare un file ivi contenuto. Il file si compone di 14 pagine.

Collega: Le vuole in bianco e nero o a colori?
Signora (*colta alla sprovvista*): Uh... ah... Bianco e nero.
C: Fronte/retro o pagine singole?
S (*allarmata*): Eh?
C: Sono quattordici pagine... Volevo sapere se vuole stamparle anche dietro.
S (*condiscendente*): Eh, sono tante, ma è fatto così.
C: Ehm... Sì, ma intendevo: proprio perché sono tante, vuole che gliele stampi fronte/retro? Così risparmia.
S (*confusa*): Ma... dietro?
C: Sì. *solleva un foglio e, mentre parla, ne indica le parti* Stampa sul fronte e anche sul retro.
S (*scandalizzata*): Ma io come faccio a sapere se è scritto anche dietro?!
C: Ehm, no. Noi possiamo decidere se stamparlo su un lato solo, o su tutti e due i lati. *la guarda speranzoso*
S: Ah! Doppio?
C (*rassegnato, ma intravvedendo una via d'uscita*): Sì, doppio.
S (*raggiante*): Allora sì. Doppio.

E quindi dovrebbe stare in un museo!

Questa storia risale al 2002 o al 2003.
Telefona un cliente, il quale mi chiede di passare a casa sua perché possa vedere un PC - per il quale non vuole far la fatica di portarlo in negozio - e dare un parere.
Al telefono spiega che il computer in questione è un po' vecchio, e vorrebbe sapere se può installare Windows XP magari cambiando l'hard disk e aggiungendo della RAM.
Gli rispondo dicendogli che, se lui non è in grado di darmi qualche specifica in più, per saperlo dovrà aspettare che veda di persona la macchina.
Non appena c'è un momento di calma vado a vedere, e mi trovo subito davanti al computer che Ulisse deve aver usato per progettare il suo famoso cavallo.
È un Compaq decisamente vecchio: monta un processore 486 DX2, 4 MB di RAM e un hard disk da 120 MB. E, come sistema operativo, ha MS-DOS 6.22 e Windows 3.1.

Cliente: - Come ti sembra? Me l'ha dato un amico: a lui non serve più.
Io (penso): - E l'amico chi è? Garibaldi? L'ha usato per calcolare i contributi dei Mille con Lotus 1-2-3?
Io (dico): - Ehm... ci credo. Questo è un cimelio. Ci fosse qui Indiana Jones, direbbe che dovrebbe stare in un museo.
C: - Ah. Quindi non ci si può installare XP? Neanche con un hard disk nuovo?
Io: - Anche senza ulteriori indagini, direi che è già al massimo delle sue possibilità.
C (deluso): - Ah. Insomma è da buttare. Senti...
Io (intuendo ciò che sta per chiedermi): - Sì?
C: Non è che lo vuoi tu?

E così me ne torno alla macchina, orgogliosamente più ricco dell'equivalente informatico della Croce di Coronado.

Le strabilianti origini dell'Ingegnere dei Miracoli

Tutti i supereroi hanno una storia che ne narra le origini. L'Ingegnere dei Miracoli non fa eccezione.

Tutto ha inizio quando un amico si presenta in negozio con un hard disk che, di punto in bianco, pare aver deciso di suicidarsi. Non si muove, non fa rumore, non è nemmeno possibile vederlo dal BIOS. E, naturalmente, conserva dati importantissimi di cui non è mai stato fatto un backup.

L'Ingegnere dei Miracoli non ha ancora guadagnato il proprio soprannome, ma è colui che riceve in consegna il disco insieme all'implorante preghiera di fare un portento per riportarlo in vita.

Dopo una breve indagine, l'IM decide che a essere morto è il controller, mentre il disco in sé è ancora buono. Sparisce un momento nel retro e torna poco dopo con in mano un hard disk gemello di quello affidato alle sue cure, il quale però soffre del problema opposto: l'elettronica è in ordine, ma la meccanica è andata.

L'IM poggia i due dischi fianco a fianco e inizia l'operazione di trapianto. Nel giro di qualche minuto l'elettronica sana è trapiantata sull'hard disk con la meccanica in ordine, che immediatamente prende vita e tutto giulivo ci comunica di essere in perfetta efficienza.

In tutto questo, il volto dell'amico è passato dall'angosciato, al preoccupato, all'ansioso, all'estatico: ora è inconfondibilmente il viso di chi ha appena assistito a un intervento divino. E con quella espressione fissa si lascia accompagnare all'auto.

Amico: - Ma... Ma...
Io: - Non sei contento?
A: Certo, ma... hai visto? È come il signor Scott! Gli porti una pantofola e un pezzo di pane e lui ti tira fuori un hard disk!
Ed è in quel momento che è nato l'Ingegnere dei Miracoli.


Nota finale: oggi un'operazione come quella brillantemente portata a termine dall'Ingegnere dei Miracoli non è più possibile, o quantomeno non è così semplice. Non basta infatti trasferire l'elettronica, ma occorre anche dissaldare il chip che contiene il firmware del disco originale e saldarlo sulla scheda nuova. Il sistema funziona perfettamente - l'abbiamo testato più volte - ma richiede esperienza e mano ferma (e infatti lo facciamo fare a una persona specializzata).

The big fan

È metà gennaio. Non nevica, ma fa un freddo becco.
Ci portano un laptop anzianotto, un vecchio HP che tuttavia è ancora in buona forma. Solo Windows, poverino, dopo lunghi anni di servizio ha raggiunto uno stato tale per cui è necessario quel che si può solo definire come "un bel formattone".
Nulla di complicato.
Inseriamo il disco di Windows e avviamo la procedura di installazione. Dopo cinque minuti - le cose procedono a rilento perché, come detto, il portatile non è esattamente recente né scattante - il computer si spegne. Così, di botto.
Ohibò.
Un rapido ravvio e un'occhiata al BIOS ci dicono immediatamente che la temperatura del processore ha superato la soglia di guardia e questo, per evitare di ridursi in poltiglia, ha spento tutto.
Il lato interessante è che le prese d'aria sono libere ma la ventola, seppure in ordine, non va mai oltre la velocità minima, né c'è verso di convincerla ad accelerare.
Sarà una ricerca in Rete a rivelarci il busillis. Quel particolare modello vanta infatti una curiosa caratteristica: la ventola è gestita unicamente dai driver per Windows, e solo con essi può raggiungere una velocità adeguata a raffreddare una CPU che lavora intensamente, come durante l'installazione del sistema operativo. Niente Windows, niente driver, niente ventola.
Anche facendo del nostro meglio, e cercando di creare delle condizioni ambientali favorevoli senza arrivare a mettere in freezer il portatile, non si riesce ad andare oltre i 10 minuti.
È chiaro che è giunto il momento di una soluzione creativa.
Il primo passo è levare le coperture di plastica che nascondono il processore: tolti la tastiera e qualche altro pezzo, il rame del dissipatore si mostra alla nostra vista in tutta la sua bellezza.
Il secondo passo è molto importante. Occorre recuperare dall'angolo in cui è conservato il ventilatore a piantana che ci permette di sopportare le calde giornate estive, puntarlo con precisione verso il succitato dissipatore e azionarlo alla massima velocità, cosicché l'aria riesca a eliminare il calore prodotto dal processore.
E così, per un buon paio d'ore chi butta un occhio in laboratorio ha modo di vedere il povero tecnico chino su un portatile parzialmente smembrato, mentre un grosso ventilatore genera un monsone direttamente sulle mani di detto tecnico.
A chi chiede che cosa stia succedendo rispondiamo semplicemente che, dopo i dischi esterni, stiamo testando i nuovi raffreddamenti esterni.

Il tappetino

No, non quello del mouse.

Arriva in negozio un cliente con un portatile vecchiotto e non propriamente pulito.
Io: - Che ha?
Cliente: - Non lo so. Lo accendo, funziona per un po' e poi di punto in bianco si spegne.

Ok, proviamo.
Il cliente non ha tutti i torti; è solo stato un po' troppo benevolo nel descrivere il problema. "Funziona per un po'" sarebbe dovuto essere "funziona giusto il tempo per far partire Windows".

Il primo indiziato è il surriscaldamento di qualche componente; in effetti, durante il breve periodo di vita del portatile abbiamo sentito la ventola fare gli straordinari. E non è normale.

M'informo garbatamente sul tempo trascorso dall'ultima pulizia, ma vedo che il concetto stesso di pulizia del portatile (proprio nel senso letterale di "rimuovere la polvere") non sembra fare presa sul cliente. Ribalto il laptop e mi appresto ad aprirlo, temendo di sapere che cosa mi aspetta.

Levate le protezione di plastica, lo vedo. È lì, grosso e arrogante. Compatto, però. Dignitoso, perfino. Sicuramente costruito in anni di costanza.
È un tappetino di polvere lungo quanto la griglia della ventola e spesso un buon centimetro, che occludeva completamente il sistema di raffreddamento.

Io: - Io consiglierei di dare una pulita, di tanto in tanto... Oppure di farci un maglioncino.

Fortunatamente, nonostante il surriscaldamento non ci sono stati altri danni e il portatile è tornato a funzionare come fosse nuovo.

Peccato non aver fatto una foto del meraviglioso tappetino di polvere (e Dio solo sa quali altre schifezze).
La foto in apertura proviene da Google... ma il mio tappetino era molto più compatto.

One size fits all

Nota: Anche questa non è una storia recente, ma qualcosa di accaduto davvero tanto tempo fa che tuttavia merita di essere preservato per i posteri.

Siamo di nuovo a metà degli anni '80, e sempre alle prese con l'introduzione dei mirabolanti floppy disk da 3,5 pollici: più piccoli, più capienti, più robusti. Il passaggio dai vecchi dischetti da 5 pollici e 1/4 a quelli nuovi, però, è meno indolore di quello che si potrebbe pensare.

L'Ingegnere dei Miracoli (IM) ha venduto un nuovo PC a un cliente (C), il quale ha espressamente richiesto un lettore per i floppy da 3,5 pollici, ma non uno per quelli da 5 pollici e 1/4. L'Ingegnere è dubbioso, dato che sa che il cliente possiede un vasto parco software sui vecchi dischetti, ma questi è tranquillo: sostiene che gli basterà quello nuovo. Non conoscendo la precisa destinazione d'uso del nuovo PC, l'Ingegnere non approfondisce la questione più di tanto e si pasce.

Il cliente arriva, ritira il PC, e se ne va soddisfatto. Il giorno dopo torna, con il PC (che non è un peso leggero da portarsi dietro: è pur sempre un modello degli anni '80) al seguito. Ed è disperato.

C: - Il lettore nuovo... non legge i dischetti!
IM: - Non legge? Strano. L'ho provato, funzionava. Colleghiamolo e vediamo.

Il PC viene collegato e acceso. Tutto regolare.
È il momento di provare i dischetti, e il cliente vuole - anche giustamente - che la prova si faccia con i suoi, che si è previdentemente portato dietro.

È a questo punto che tutto diventa chiaro. Il cliente apre la borsa con i dischetti e da essa estrae nientemeno che un floppy da 5 pollici e 1/4 piegato in quattro. Poi prova a inserirlo nel lettore per floppy da 3,5 pollici, riuscendoci con fatica.

L'impietrito Ingegnere dei Miracoli non trova le parole per commentare la scena che si svolge davanti a suoi occhi, e così lascia il tempo al cliente per tentare di obbligare il DOS a leggere il povero, maltrattato dischetto, ricevendo ovviamente in risposta soltanto un messaggio d'errore.

C: - Visto?

Il segreto


Nota: Anche questa non è una storia recente, ma qualcosa di accaduto davvero tanto tempo fa che tuttavia merita di essere preservato per i posteri.

Questa volta siamo negli anni '90. Le LAN - almeno in ambito aziendale - sono una realtà ben diffusa. E, di tanto in tanto, bisognosa di assistenza.
L'Ingegnere di Miracoli (IM) è al telefono con il "tecnico" (T) di un'azienda che si serve da noi. "Tecnico" è tra virgolette non perché l'individuo in questione sia un incapace, ma semplicemente perché non è quello il suo lavoro: lui per la ditta fa tutt'altro, compito per il quale usa i computer. Ma, dato che tale uso gli ha fornito una certa familiarità con le macchine, è stato immediatamente promosso a tecnico.
Tale situazione fa sì che lui abbia buona volontà e capacità di impegno, ma anche che di tanto in tanto gli manchino delle conoscenze, anche basilari. In quei casi ha bisogno di una mano, e allora ci telefona.

Il problema riguarda la rete locale, che sta avendo un comportamento un po' anomalo (ora non ricordo esattamente il problema). Alla fine, l'Ingegnere dei Miracoli decide che la cosa migliore è far fare il logout a tutti gli utenti e ripartire da capo.

IM: - Così non ne veniamo a capo. Senta, faccia così: faccia uscire tutti.
T: - D'accordo. Un momento, per favore.

La cornetta viene appoggiata sulla scrivania. Dal telefono, l'IM ode provenire voci concitate, qualcuno che protesta per qualcosa, sedie che si spostano, porte che si aprono e si richiudono.
Poi, T riprende in mano la cornetta e, con tono cospiratorio e concitato, sussurra:

T: Ecco fatto: sono usciti tutti. Adesso mi può dire.

Non mi freghi!

Di tanto in tanto passa in negozio un cliente abituale piuttosto problematico. Non è proprio che abbia richieste assurde, ma si lamenta di tutto e pensa sempre che ciascuno sia lì soltanto per fregarlo.
Il vero guaio è che pensa di essere particolarmente furbo, e che cotanta furbizia gli permetta di scorgere al volo i vari tentativi di truffa certamente perpetrati nei suoi confronti; per questo motivo quando parla con noi ha sempre un tono di supponente accondiscendenza. E ciò lo rende insopportabile.

Al momento abbiamo in assistenza il suo computer (il figlio ci ha messo mano e l'ha riempito di schifezze) e, quando ci chiama per avere notizie, ci chiede in aggiunta alla sistemazione del PC di ordinare per lui un power bank per il cellulare, che usa per lavoro e quindi si scarica in fretta.
Dopo che gli abbiamo proposto un po' di alternative si decide per uno da 20.000 mAh, che non abbiamo in casa e di cui non abbiamo sul momento il prezzo esatto. Gli diciamo che costerà tra i 20 e i 30 euro e poniamo fine alla telefonata.

Due giorni dopo, il tizio arriva in negozio per ritirare computer e power bank. Per il computer non ci sono grossi problemi (a parte i soliti "Ma me l'avete messo a posto bene? Perché se si rompe subito ancora... Guarda che non pago, lo porto a casa e vedo se va, e poi magari torno a pagare dopo"), ma quando gli diciamo che il power bank costa 26 euro inizia a dare in escandescenze.

CP (Cliente Problematico): - Così tanto?! Ma mi avevate detto meno di 20 euro!
C (Collega): - Non mi pare... Sono sicuro che abbiamo detto "Tra i 20 e i 30 euro".
CP: - Seeee! Tu vuoi fregarmi! Mi dici un prezzo e poi me lo fai pagare il doppio!

Mentre parla paga tutto di malgarbo, afferra il power bank e si avvia verso la porta.

CP: - Ma se scopro che alzi i prezzi così a c**** ti sp****no in tutto il paese! Non verrà più nessuno! Non mi freghi!

E se ne va, brontolando ad alta voce tra sé.

Io: - Lo chiami tu?
C: - Perché?
Io *con il mio miglior sorriso*: - Perché ha lasciato qui il computer.
C: - Neanche morto! Aspettiamo che se ne accorga da solo.